domenica 13 settembre 2009

Il manifesto del giornalismo web

Di seguito riporto un manifesto che 15 tra i più importanti blogger e giornalisti online tedeschi hanno stilato per ripensare il giornalismo dell'era di Internet.
Traduzione di www.byoblu.com.

1. "Internet è diverso" - Il nuovo mezzo di comunicazione è molto differente rispetto agli altri media. Chi vuol lavorare nel campo dell'informazione deve adattare i propri metodi di lavoro alla realtà tecnologica di oggi invece di ignorare e contestare il mondo multimediale. Bisogna produrre prodotti giornalistici nuovi e migliori.

2. "Internet è un impero mediatico tascabile" - Grazie a internet è possibile fare dell'ottimo giornalismo anche senza immensi investimenti. Il web riorganizza le strutture esistenti dei media abbattendendo gli antichi confini che esistevano tra giornali, televisione, radio etc.

3."Internet è la nostra società e la nostra società è internet" - Wikipedia, YouTube e i social network sono diventati una parte della vita quotidiana per la maggioranza delle persone nel mondo occidentale. I mezzi di comunicazione, se intendono sopravvivere alla rivoluzione tecnologica contemporanea, devono capire i legittimi interessi dei nuovi utenti e abbracciare le loro forme di comunicazione.

4. "La libertà di internet è inviolabile" - Il giornalismo del XXI secolo che comunica digitalmente deve adattarsi all' architettura aperta di Internet. Non è ammissibile che si limiti questa libertà in nome di interessi particolari commerciali o politici, spesso presentati come interessi generali. Bloccare parzialmente l'accesso a internet mette a repentaglio il libero flusso delle informazioni e il diritto fondamentale di informarsi.

5. "Internet è la vittoria dell'informazione" - Per la prima volta grazie a Internet l'utente può scegliere realmente come informarsi e attraverso i motori di ricerca attingere a un patrimonio d'informazione immenso.

6. "I cambiamenti apportati da Internet migliorano il giornalismo" - Grazie a internet il giornalismo può svolgere un'azione socio-educativa completamente nuova. Ciò significa presentare notizie in continuo cambiamento attraverso un processo inarrestabile. Chi vuol praticare il giornalismo deve essere stimolato da un nuovo idealismo e capire che le risorse offerte da internet sono un incredibile stimolo a migliorare.

7. "La rete richiede collegamenti" - La rete è fatta di collegamenti. Chi non li usa si autoesclude dal dibattito sociale e ciò vale anche per i sitiweb dei tradizionali mezzi di comunicazione.

8. "Linkare premia, citare abbellisce" - Chi fa giornalismo online deve offrire all'utente un prodotto sempre più completo. Linkare le fonti e citarle permette di conoscere direttamente e più ampiamente i temi di cui si dibatte.

9. "Internet è la nuova sede per il discorso politico" - Il giornalismo del XXI secolo deve fare in modo che il dibattito politico si trasferisca sempre di più sulla rete così il pubblico potrà partecipare direttamente ai discorsi politici e dire la sua.

10. "Oggi libertà di stampa significa libertà d'opinione" - I giornalisti non devono temere che la rete possa sminuire il loro compito di selezionare le notizie e informare. La vera dicotomia che invece internet realizza è quella tra il buon e cattivo giornalismo.

11. "Sempre di più: le informazioni non sono mai troppe" - Sin dall'antichità l'umanità ha capito che più informazioni si hanno più è grande la libertà. Internet è il mezzo che può più di tutti può allargare la nostra libertà.

12. "La tradizione non è un modello di business" - Come dimostra già la realtà odierna è possibile fare buon giornalismo su internet e guadagnare denaro. Non bisogna ignorare lo sviluppo tecnologico solo perché secondo alcuni distruggerà le aziende giornalistiche, ma bisogna avere il coraggio di investire e ampliare la piattaforma multimediale.

13. “Il diritto d'autore diventa un dovere civico su Internet” - La rete deve rispettare il diritto d'autore, ma anche il sistema del copyright deve adattarsi ai nuovi modelli di distribuzione e non chiudersi nei meccanismi di approvvigionamento del passato.

14. "Internet ha molte valute" - Il modo più tradizionale di finanziare i giornali online è attraverso la pubblicità. Altri modi per finanziare i prodotti giornalistici devono esseri testati.

15. “Cio' che rimane sulla rete resta sulla rete” - Il giornalismo del XXI secolo non è più qualcosa di transitorio. Grazie alla rete tutto rimane nella memoria degli archivi e dei motori di ricerca e ciò fa in modo che testi, suoni e immagini siano recuperabili e rappresentino fonti di storia contemporanea. Ciò stimola a sviluppare un livello qualitativo sempre migliore.

16. "La qualità resta la più importante delle qualità" - Le richieste degli utenti sono sempre maggiori. Perché un utente resti fedele ad un particolare giornale online, quest'ultimo deve garantire qualità e soddisfare le richieste del lettore senza rinunciare ai propri principi.

17. "Tutto per tutti" - Internet ha dimostrato che l'utente giornalistico del XXI secolo è esigente e nel caso di un dubbio su un articolo è pronto a studiare la fonte per essere maggiormente informato. I giornalisti del XXI secolo ha dimostrato che il lettore cerca non sono quelli che offrono solo risposte, ma quelli che sono disposti a comunicare e a indagare.

sabato 20 giugno 2009

I media: armi di distrazione di massa

Da qualche tempo gira in rete una vignetta che narra l’involuzione dell’uomo: dal primate fino all’homo sapiens, aggiungendo dopo di questo un uomo che si ingobbisce e si siede davanti alla tv. È davvero questo il futuro che ci attende? Una totale dipendenza dai mass media?
L’intento dei mezzi di comunicazione di massa è nella loro definizione: passare un messaggio, lo stesso, ad un pubblico il più grande possibile, alla massa appunto. Di questa categoria fanno parte la televisione, la stampa, Internet e, in misura minore, la radio e il cinema. Ognuno di questi mezzi contribuisce spesso a creare un pensiero unico, una superficialità dilagante, un passivo accettare ciò che ci viene detto e pensarlo come verità assoluta.
Chi amplifica questo fenomeno è sicuramente la tv che, con messaggi veloci e comprensibili a tutti, impone dei modelli di pensiero ai passivi utenti che, come succede con la stampa, non hanno la possibilità di replicare esponendo la propria opinione e quindi sono solo costretti a recepire il messaggio e darlo per vero. Questo non accade però con la Rete che, essendo una comunità, concede lo stesso spazio a chiunque abbia idee, opinioni, notizie da condividere, con la facoltà per il destinatario di obiettare. In Internet prevalgono, però, messaggi veloci che devono interessare nell’immediato e ciò impedisce l’approfondimento di una determinata questione. In Rete vi è inoltre la presenza di social network e chat, tutte tecnologie che, insieme ai cellulari, sono create e sviluppate per incentivare la diretta e continuata comunicazione tra le persone che, formando gruppi e comunità talvolta globali, impongono dei paletti all’avere un’opinione libera, senza condizionamenti, che va ad influire sui gusti musicali, sul modo di vestirsi, sul modo di rapportarsi con gli altri, arginando la creazione di una propria personalità contraddistinta. Infatti la bassezza dei temi affrontati da tv e giornali si riflette sulla società, sulla capacità di ragionamento e di pensiero lineare di ogni singolo individuo, portando ad un insieme di persone anonime, svuotate di argomenti.

mercoledì 6 maggio 2009

Cogestione for dummies

Da diversi anni a questa parte, in molte scuole superiori di tutta Italia, si decide di riunire le tre ore mensili che per legge possono essere destinate ad assemblee studentesche, in pochi giorni scolastici gestiti autonomamente dagli studenti. Questa attività è comunemente detta cogestione. Nel nostro istituto di Caravaggio (liceo scientifico Galileo Galilei, ndr) questa iniziativa è stata collaudata nel tempo ed è diventata un evento annuale.
Ciononostante una larga fazione di insegnanti, personale della scuola e (perfino) studenti, porta avanti una vera e propria crociata nei suoi confronti.
Essi infatti sostengono che grazie alla cogestione si perdono importanti ore di lezione. Ma possono davvero nuocere alle nostre menti tre o quattro ore di latino e matematica in meno? Le argomentazioni di questi detrattori non finiscono qui. Infatti essi affermano inoltre che gli studenti partecipano poco e, coloro che ne prendono parte, non si comportano responsabilmente. Ciò è confutato dal fatto che le presenze di quest’anno sono state assai numerose (la media è 85,5%) e quasi simili ad un normale giorno scolastico. E, quanto all’idea che gli alunni sono irresponsabili durante questa manifestazione, va ammesso che non sono stati rilevati incidenti particolarmente gravi sotto il punto di vista del comportamento.
Per quanto riguarda, invece, la maggioranza delle persone della scuola, la questione è immediata: la cogestione è un’ottima attività, da ripetere e migliorare, per poche semplici ragioni.
Innanzitutto l’iniziativa parte dagli studenti, è organizzata dagli studenti ed è partecipata dagli studenti, che si dimostrano consapevoli del loro compito e lo adempiono nel migliore dei modi, specialmente gli efficienti rappresentanti di istituto, i quali sono a capo dei lavori. Pertanto essa aiuta a crescere il senso di responsabilità dell’individuo, sia preso singolarmente, che in un contesto più ampio, quale il suo gruppo, la classe o l’intera scuola. In secondo luogo la cogestione aiuta la socializzazione fra gli studenti e il reciproco scambio di idee, opinioni ed esperienze. Se poi entriamo nel merito dell’evento, ci accorgiamo che il fatto di trascurare per alcuni giorni le equazioni matematiche e le date di storia in favore di argomenti di attualità, che vertono su politica, società e cultura, può solo giovare alle nostre menti, che possono comprendere meglio i problemi che ci circondano.
Di certo la cogestione ha bisogno di miglioramenti qua e là, come una maggiore attenzione ai dettagli tecnici (la proiezione dei film, le aule dei corsi…) e una distribuzione migliore dei relatori; ma nel suo complesso è sicuramente un’eccellente attività che tutti hanno motivo per apprezzare.

mercoledì 4 marzo 2009

Nessuno tocchi il latinorum

Posto un mio articolo che è stato pubblicato sul giornalino del mio liceo. Prima l’articolo originale, poi quello corretto per la pubblicazione.

Sulla scia di Usa, Germania e Francia e con l’insediamento del nuovo governo, anche in Italia si comincia a parlare dell’abolizione dell’insegnamento del latino nei licei, soprattutto in quello scientifico, che sarà rimpiazzato da una seconda lingua straniera.
Ma siamo sicuri che cancellando dalle scuole superiori la lingua di Ovidio e Cicerone si contribuirà a riportare l’istruzione italiana agli apici delle graduatorie internazionali? O più probabilmente è solo un altro modo per svalutarla? Non è forse il latino la lingua che è alle radici della nostra? Dunque, bandire questo idioma sembra quasi irrealistico, visto che, se proprio si deve fare a meno dello status quo, si potrebbe ridurne lo ore di apprendimento alla settimana, visto che eguagliano o superano quelle delle altre materie, oggigiorno più importanti.
Il latino è rilevante nella formazione culturale di un individuo poiché aiuta a sviluppare ed incrementare le capacità logiche, razionali e cognitive e, grazie alle sue complesse strutture morfosintattiche, rende più remunerativo l’apprendimento dell’italiano, dando le facoltà di formare periodi molto più articolati e di allargare il proprio vocabolario. È perciò una via per imparare ad esprimersi con maggiore naturalezza, permettendo di spiegare meglio ciò che passa per la mente. Inoltre non si potrebbe leggere e studiare i grandi autori latini del passato, come Ovidio, Virgilio, Tacito, senza conoscere approfonditamente questo linguaggio. Per quanto riguarda il punto di vista pratico, il latino è utile anche nella scelta e nel frequentare determinate facoltà universitarie, prevalentemente in campo umanistico. Infine si potrebbe dire che il latino negli Stati Uniti, nonostante sia stato abolito come materia obbligatoria da tempo, ogni anno la percentuale di persone che partecipano a corsi e che richiedono una certificazione in questa disciplina continua ad aumentare.
Tuttavia una buona parte degli studenti (e non solo) ritengono che lo studio del latino sia completamente inutile al giorno d’oggi.
Le loro motivazioni riguardano il fatto che è una lingua cosiddetta “morta”,  ovvero non parlata più, e che porta via tempo ad altre materie più utili nel futuro mondo del lavoro.
Per quanto riguarda il fatto che sia una lingua “morta”, non vuol dire che essa non riviva nelle opere degli antichi autori latini di cui sopra, fondamenti della nostra cultura. Mentre in parte è vero che sottrae tempo ad altre discipline, tuttavia è meglio avere più capacità di ragionamento, che sapere un paio di concetti in più all’incirca soggetti che forse non avranno nessun profitto in futuro.
Quindi è innegabile l’utilità del latino nello sviluppo culturale di una persona, ma è altrettanto vero che nei licei il numero di ore di studio di questa disciplina sono realmente eccessive, pertanto senza ricorrere alla sua totale e ingiusta soppressione, sarebbe sufficiente una riduzione del tempo di studio, magari favorendo materie più specialistiche.

Sulla scia di Usa, Germania e Francia, anche in Italia si ricomincia a parlare dell’abolizione dell’insegnamento del latino nei licei, soprattutto in quello scientifico, che sarà rimpiazzato da una seconda lingua straniera.
Ma siamo sicuri che cancellando dalle scuole superiori la lingua di Ovidio e Cicerone si contribuirà a riportare l’istruzione italiana agli apici delle graduatorie internazionali? O non sarà solo, più probabilmente, un altro modo per svalutarla? Non è forse il latino la lingua che è alle radici della nostra? Bandire dunque lo studio di questo idioma appare una scelta inutilmente drastica, visto che, se proprio si vogliono cambiare le cose, si potrebbe ridurne le ore settimanali di insegnamento, visto che eguagliano o superano quelle delle altre materie, oggigiorno altrettanto importanti.
Il latino, infatti, è rilevante nella formazione culturale di un individuo, poiché aiuta a sviluppare ed incrementare le capacità logiche, razionali e cognitive e, grazie alle sue complesse strutture morfosintattiche, rende più facile l’apprendimento dell’italiano, migliorando le capacità di formare periodi molto più articolati e arricchendo il proprio vocabolario. È perciò una via per imparare ad esprimersi con maggiore naturalezza, permettendo di spiegare meglio ciò che passa per la mente.
Inoltre non si potrebbero leggere e studiare i grandi autori del passato, come Ovidio, Virgilio, Tacito, senza conoscere approfonditamente questa lingua.
Dal punto di vista pratico, il latino è utile anche nella scelta e nella frequentazione di determinate facoltà universitarie, non solo in campo umanistico, poiché il linguaggio di molte discipline scientifiche ha nel latino la sua base principale. Come non bastasse, anche negli Stati Uniti, dove scuola superiore ed università hanno sempre privilegiato le materie tecnico-scientifiche, si sta riscoprendo la lingua di Cesare e Cicerone, come dimostra l’aumentato numero di corsi richiesti dagli studenti.
Convincere, tuttavia, i tenaci detrattori del latino è difficile.
Una buona parte degli studenti (e non solo) ritengono, infatti, che lo studio del latino sia completamente inutile al giorno d’oggi.
Per il partito degli abolizionisti, si tratta di una lingua cosiddetta “morta”, ovvero non parlata più, che porta via tempo ad altre materie, più utili nel futuro mondo del lavoro.
Ciò è confutato, però, dal fatto che essa rivive, oltre che in opere immortali, anche in numerose lingue moderne, nelle istituzioni ancora oggi vigenti. Esiste il referendum, il quorum delle elezioni, il qui pro quo, il mitico “carpe diem”, e molto altro ancora.
Certo, in parte è vero che sottrae tempo ad altre discipline; tuttavia avere più capacità di ragionamento e più strumenti per capire il nostro mondo è importante, e ci aiuterà a non fare in tante occasioni la parte del povero Renzo, confuso dal “latinorum” di Don Abbondio.
Non abolire, dunque, ma riorganizzare, in modo da dare l’adeguato spazio a tutte le discipline oggi importanti.

Interessante come dalla prima riga sia sparita la parte di frase “e con l’insediamento del nuovo governo”…

mercoledì 14 gennaio 2009

Dichiarazione dichiaratamente inascoltata

Sono passati ben sessant’anni da quel 10 dicembre 1948, in cui l’Assemblea delle Nazioni Unite approvò a Parigi, dopo tre anni di stesura, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, sulla scia dei buoni propositi presi dopo le atrocità della seconda guerra mondiale. Ciononostante tutti i paesi del mondo, chi più chi meno, sono ben lungi dall’applicarla intermente.
Infatti i trenta articoli di cui è composto il documento formano un codice etico con un valore più ideologico che giuridico, dato che non è rispettato né fatto rispettare.
Gli articoli che vengono subordinati dalla realtà delle cose si possono distinguere facilmente. Già l’articolo 5, che condanna la tortura e le punizioni inumane, non è tenuto in alta considerazione in molti paesi, dove, per esempio, esiste la pena di morte e la tortura, anche come metodo di interrogatorio. L’articolo 7 dichiara, inascoltato, l’uguaglianza davanti alla legge. Infatti in ogni nazione, anche in quelle più “libere”, c’è sempre una stretta cerchia di persone ricche e potenti “più uguali” delle altre. In Italia, per esempio, la classe politica gode di una serie di privilegi giuridici che garantiscono talvolta ai propri membri l’impunità. Questo è in contrasto, oltre che con la carta in questione, anche con la Costituzione della nostra repubblica. La carcerazione preventiva, vigente in molti stati, è in contraddizione con l’articolo 9, il quale afferma che nessuno può essere detenuto arbitrariamente. L’articolo 19 si pronuncia riguardo la libertà di opinione ed espressione, unita alla facoltà di cercare, ricevere e diffondere informazioni attraverso ogni mezzo. Nessun paese è veramente libero sotto questo punto di vista, tantomeno l’Italia, che si trova in posizioni vergognose nelle classifiche internazionali delle nazioni con più libertà di stampa, essendo assai distante dagli altri paesi occidentali. L’articolo 21 sancisce il diritto di partecipare al governo del proprio stato e sceglierne i rappresentanti, cosa che in Italia non è possibile grazie alla vigente legge elettorale, e di accedere in condizioni di uguaglianza ai pubblici impieghi, altro diritto soppiantato dalla diffusa corruzione e delle varie raccomandazioni. La prerogativa di avere un lavoro e una dignitosa retribuzione è sancita dall’articolo 23 della suddetta dichiarazione, non applicato anch’esso e dimostrato dagli ampi fenomeni della precarietà e della disoccupazione.
Questa lunga sfilza di violazioni deve essere ridotta, fino a scomparire, dai governi di tutti i paesi, ponendo gli obiettivi del documento in primo piano nei loro programmi; mentre il cosiddetto quarto potere dovrebbe ricordare la dichiarazione, non solo negli anniversari della sua promulgazione, ma ogni qualvolta che viene violata da una o più persone, in alto o in basso nella piramide sociale.