martedì 16 settembre 2014

La crisi dell'Eurozona



Con alcuni amici, ho costituito un gruppo denominato Muovere Le Idee. Il nostro intento è di spiegare la politica attraverso video brevi e leggeri da diffondere sul web.
Ecco la versione originale, scritta da me, del copione del sesto video.

Nell’ultimo video abbiamo parlato della crisi economica del 2008. Iniziata come crisi finanziaria, ha presto colpito l’economia reale, causando una recessione in quasi tutti i paesi del mondo e portando la disoccupazione a livelli astronomici. Già dal 2010-2011, però, le principali economie del mondo stanno assistendo ad una ripresa. Chi è ancora alle prese con un’economia bloccata è l’eurozona, l’insieme dei paesi che hanno adottato l’euro.

Presto si è capito che la zona euro non poteva reagire in modo compatto alla crisi. L’alto debito di alcuni paesi cominciò a sembrare privo di garanzie di essere ripagato, dato che quegli stati non avevano più una sovranità monetaria e l’eurozona non era abbastanza integrata per coprire i paesi in difficoltà.
Un gruppo di stati europei, che avevano attraversato i primi anni di crisi senza forti sconvolgimenti, videro i titoli del loro debito pubblico essere scossi dalla speculazione e dai timori che essi non potessero più essere rimborsati. Lo spread, cioè il differenziale tra il rendimento di quei titoli e quelli dello stato più virtuoso, la Germania, continuava a crescere, rendendo più costoso per questi stati fare nuovi debiti. L'elenco di questi paesi è riassunto dall'acronimo “Piigs” (“maiali”, in inglese): Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna.

Il primo di loro a finire sotto il giogo della speculazione è stato la Grecia. Nel 2009, il governo appena eletto fu costretto a rivedere al rialzo la stima del deficit del bilancio statale, triplicandola, poiché il precedente esecutivo aveva falsificato i conti pubblici. Sui mercati si scatenò il panico. Le agenzie di rating, il cui compito è di fornire giudizi sui titoli, declassarono più volte quelli ellenici, fino ad etichettarli come spazzatura. Per scongiurare il rischio insolvenza, che si faceva sempre più reale, nel maggio 2010 fu varato un piano di aiuti da 110 miliardi di euro da parte della cosiddetta “troika”, l’insieme di Unione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale. In cambio, la Grecia avrebbe dovuto avviare un piano di forti tagli alla spesa pubblica allo scopo di mettere in sicurezza il bilancio dello stato. Ma non bastò: negli anni successivi furono necessarie diverse ristrutturazioni del debito e un nuovo piano di salvataggio da 130 miliardi. Intanto, poco prima del G20 del 2011, il premier Papandreou aveva annunciato un referendum sull'accordo con la troika ma, dopo l'incontro dei leader mondiali, egli si dimise, lasciando il posto al governo tecnico di Lucas Papademos, ex membro della Bce.

Insieme al primo piano d'aiuti per la Grecia, la troika decise di costituire l'Efsf, un fondo per i paesi dell'eurozona in difficoltà. Mai scelta fu più saggia. Infatti, il contagio raggiunse altri paesi. Dopo essere stati fatti oggetto dell'attenzione della speculazione internazionale, sia l'Irlanda che il Portogallo ebbero bisogno di attingere a quei fondi, per 85 e 80 miliardi di euro rispettivamente. Anche Spagna e Italia sono finite nel mirino dei mercati finanziari. Entrambi i paesi videro i loro spread schizzare alle stelle. I loro governi si trovarono costretti a dimettersi nel novembre 2011. In Spagna si decise di andare ad elezioni anticipate, invece in Italia nacque il governo tecnico di Mario Monti, ex commissario europeo.

Se in un primo momento lo spread sembrò scendere, tra la primavera e l’estate del 2012, riprese la sua salita, segnalando crescenti timori dei mercati sulla tenuta delle economie dell’eurozona. A luglio, il presidente Mario Draghi annunciò che la Bce avrebbe fatto qualsiasi cosa necessaria per preservare la moneta unica. Questa dichiarazione sancì un principio già affermato dai fatti: la Banca Centrale Europea aveva messo in campo diverse misure non convenzionali in difesa dell’euro, dall’acquisto dei titoli degli stati sul mercato secondario per prolungati periodi di tempo, che fece calare lo spread, al drastico ribassamento dei tassi di interesse che ha immesso nel mercato molta liquidità, nella speranza che potesse favorire i prestiti alle imprese e incentivare gli investimenti. Queste misure insieme alla trasformazione del fondo salva-stati in un meccanismo permanente hanno a poco a poco ridotto la pressione speculativa sull’eurozona.

Nonostante la turbolenza finanziaria sull’area dell’euro si sia dissolta, le diverse economie fanno ancora molta fatica a riprendersi, anzi la recessione non è ancora terminata. Nel prossimo video, analizzeremo la ricetta adottata nel Vecchio Continente per voltare pagina, cioè la cosiddetta austerità.

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