Tesina sulla decrescita - Gli argomenti della critica alla crescita

Coloro che sostengono il progetto della decrescita non lo fanno solo perché intimoriti dall'imminente esaurimento delle fonti fossili, ma vi sono diverse altre ragioni.


I DIFETTI DEL PIL
Il sistema economico della crescita ha, come tutte le cose, un'unità di misura. Questa unità di misura è il PIL (Prodotto Interno Lordo). Il Pil è il valore complessivo di tutti i beni e i servizi prodotti in un paese nell'arco di un anno solare. Esso comprende tutti i beni e servizi destinati al consumo dell'acquirente finale (non conteggia quindi il consumo intermedio di chi consuma un bene per trasformarlo), agli investimenti e alle esportazioni.
A volte, al posto del Pil, viene utilizzata una sua variante, il PNL (Prodotto Nazionale Lordo), la cui unica differenza rispetto al Pil è di considerare nel calcolo anche le attività svolte dalle imprese nazionali all'estero, al netto delle attività di imprese straniere sul territorio nazionale.

Da quando è stato ideato, il Pil è diventato l'unità di misura del benessere nei vari paesi del mondo, benché presenti delle chiare e riconosciute anomalie. Innanzitutto ci spinge a pensare che i concetti di ricchezza, benessere e felicità siano intercambiabili e ciò è quasi sempre errato. Infatti, il Pil non contempla alcuni fattori che portano felicità alle persone come la salute, la qualità dell'alimentazione, il grado di istruzione, le condizioni di lavoro, le condizioni abitative, l'abbigliamento, il divertimento, la sicurezza sociale e i diritti umani.
In secondo luogo, il Pil trascura tutto il lavoro svolto gratuitamente, dall'autoproduzione (come l'orto di casa) alle attività svolte in ambito famigliare (come i lavori domestici o l'assistenza di un parente malato o anziano) o nel volontariato.
Inoltre, questo misuratore porta a dei veri paradossi considerando positive anche quelle attività dannose alle persone e all'ambiente, come le attività illecite (il riciclaggio di denaro sporco) e quelle inquinanti. Ma si potrebbero portare centinaia di esempi. Uno potrebbe essere l'acquisto di medicinali che, sebbene siano segno di malattia e quindi minore benessere, fanno crescere il prodotto interno lordo. Un altro potrebbe essere l'esempio della cuoca che sposa il suo datore di lavoro: la loro felicità aumenta ma il Pil diminuisce perché la cuoca non verrà più pagata per fare lo stesso lavoro.

Le contraddizioni del Pil non sono la teoria di qualche estremista o no global, ma erano state osservate già da Robert Kennedy che, tre mesi prima di essere assassinato, il 18 marzo 1968, all'Università del Kansas pronunciò queste parole:

«Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell'ammassare senza fine beni terreni.
Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell'indice Dow Jones, né i successi del paese sulla base del prodotto interno lordo.
Il PIL comprende l'inquinamento dell'aria e la pubblicità delle sigarette, le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine settimana.
Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.
Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l'intelligenza del nostro dibattere o l'onestà dei nostri pubblici dipendenti.
Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell'equità nei rapporti fra di noi. Il Pil non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese.
Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull'America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere Americani.»

La buona notizia è che, anche tra le file dei sostenitori della crescita incessante, sorgono i primi dubbi sulla reale capacità del Pil di rappresentare la misura del benessere di una società. I primi segnali della voglia di cambiamento sono giunti dal basso ma hanno presto contagiato l'estabilishment dei paesi occidentali. Da tempo organizzazioni e reti di ricercatori stanno provando ad elaborare delle nuove metodologie di calcolo del benessere dei cittadini che vadano a completare o rimpiazzare completamente il Pil. Alla conferenza internazionale "Beyond GDP" ("Oltre il Pil"), svolta a Bruxelles nel novembre 2007, è stata fatta una dichiarazione di grande valore politico e simbolico. Sia il Presidente della Commissione europea José Manuel Barroso che Stavros Dimas, commissario per l'Ambiente, hanno chiesto lo sviluppo e il miglioramento di indicatori che regolino, completino o sostituiscano il Pil. Inoltre l'incontro, oltre a essere stato organizzato da Commissione europea, Parlamento europeo, OCSE e WWF, ha visto la partecipazione delle più importanti istituzioni a livello internazionale, come la Banca Mondiale e le Nazioni Unite. A titolo di ulteriore esempio dell'inedita attenzione verso la riforma del Pil, va segnalata l'istituzione da parte del presidente francese Nicolas Sarkozy, nel gennaio 2008, di una commissione capitanata da due premi Nobel per l'economia, l’americano Joseph Stiglitz e l’indiano Armatya Sen, con il compito di trovare un nuovo indicatore del benessere in Francia. «Bisogna cambiare il nostro strumento di misura della crescita», ha detto Sarkozy, convinto che contabilità nazionale e Pil abbiano «evidenti limiti» che non rispecchiano «la qualità della vita dei francesi». La commissione l'anno successivo ha pubblicato un rapporto nel quale si propone da un lato di riconoscere i limiti del Pil come indicatore del progresso sociale e dall'altro di creare nuovi misuratori in grado di contemplare le molteplici dimensioni del benessere sociale della collettività. Più recentemente, anche il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha istituito una commissione simile con l'obiettivo, meno strettamente economico, di progettare un indicatore del grado di felicità degli americani, il cui raggiungimento è sancito perfino dalla loro costituzione. Infine, il 2 e 3 aprile 2012, anche l'Assemblea generale delle Nazioni Unite è stata coinvolta in una kermesse su questo tema, animata da capi di stato e famosi economisti come Jeffrey Sachs e lo stesso Stiglitz.


IL SURRISCALDAMENTO GLOBALE
Ormai tutti gli esperti sono concordi: la temperatura del pianeta sta aumentando. Dal 1970 è cresciuta di 0,6 gradi e si stima che potrebbe arrivare fino a 6 gradi in più entro la fine di questo secolo. Il riscaldamento è causato dal concentramento nell'atmosfera di una mole di gas in misura maggiore di quanta ce ne dovrebbe essere. I "gas serra" sono l'anidride carbonica (per il 63%), il metano (per il 18%), il protossido di azoto (per il 6%) e altri gas minori. L'anidride carbonica deriva principalmente dalla produzione di elettricità, dal riscaldamento, dai trasporti e dall'industria. Il metano arriva invece dalle risaie e dagli allevamenti di bestiame, il protossido dall'uso di fertilizzanti azotati.
La concentrazione di CO2 nell'atmosfera si misura in ppm (parti per milione) e ha subito nel tempo un aumento vertiginoso: dalle 280 ppm dell'inizio della rivoluzione industriale alle 386 ppm del 2008.
Uno studio elaborato in maniera indipendente per i negoziati sul clima di Copenaghen del 2009, indica che è necessario contenere l'aumento della temperatura globale nei 2 gradi sopra i livelli preindustriali, altrimenti si verificherebbero dei gravi sconvolgimenti a livello planetario.
Gli effetti dell'aumento della temperatura sono devastanti: temperature più elevate minacciano i raccolti, fondono i ghiacciai che alimentano i fiumi, generano fenomeni della natura come uragani e inondazioni molto peggiori di quelli che abbiamo visto finora, fanno salire il livello del mare.


LA DISUGUAGLIANZA
Se su scala globale è sempre esistita un'ampia forbice di ricchezza, all'interno dei paesi occidentali ha avuto alti e bassi. Nei secoli è sempre diminuita poco a poco fino all'inizio dei trent'anni d'oro del capitalismo (1945-1975), durante i quali le classi sociali si sono sempre più avvicinate tra di loro. Questo trend positivo è stato interrotto e invertito dalla politica neoliberista inaugurata da Ronald Reagan negli USA e da Margaret Thatcher nel Regno Unito.
Per dare una misura al fenomeno della disuguaglianza, può essere utile dare un'occhiata ai rapporti dell'UNDP (Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo). Nel 2004, il Pil mondiale è arrivato a oltre 40 mila milardi di dollari, ossia a una ricchezza sette volte superiore rispetto a quella di cinquant'anni prima. Nel 1970, il divario di ricchezza tra il quinto della popolazione più povero e il quinto più ricco era di 1 a 30, nel 2004 il rapporto era di 1 a 74. Inoltre, il quinto più ricco guadagnava nel 1960 il 70% dei redditi planetari, quota salita all'83% trent'anni più tardi. Nel frattempo quella del quinto più povero è diminuita dal 2,3 all'1,4%.
Se spostiamo l'attenzione sul confronto tra Nord e Sud del mondo, la situazione è ancor più critica. Le differenza tra le due aree è abissale. Il reddito annuale medio di un africano è inferiore al reddito mensile del lavoratore francese con lo stipendio minimo. Perfino gli animali del Nord sono valutati di più delle vite umane del Sud: ogni mucca europea gode di una sovvenzione di 2 euro al giorno, un reddito che 2,7 miliardi di persone non riescono a raggiungere.


L'INFELITICÀ DELLA CRESCITA
Il primo economista a teorizzare la proporzionalità diretta tra felicità e consumi è stato il francese Jean-Baptiste Say. Questa teoria, come la più conosciuta Legge di Say che sostiene che l'offerta riesce sempre a creare la propria domanda, dimostra la sua infodatezza nella realtà. Alcuni studiosi affermano infatti che raggiunto un livello d'equilibrio di reddito, un aumento ancora maggiore porta una diminuzione dei beni relazionali e quindi a una minore felicità dell'individuo. In effetti, a guardarla più da vicino, la ricchezza desta maggiori preoccupazioni per la salute della persona rispetto all'indigenza. L'ossessione di possedere sempre di più, il desiderio incessante di accumulare per sé e di togliere agli altri per il solo piacere di esercitare un potere, la cultura del successo sociale, l'impietosa dinamica della competizione permanente, l'irrinunciabile principio del profitto ad ogni costo e la mercificazione delle relazioni umane sono i sintomi di una patologia che si presenta nei più ricchi. E che può tradursi in stress, insonnia, depressione, turbe psicosomatiche e malattie di ogni altro tipo (tumori, crisi cardiache, allergie varie, obesità, cirrosi epatica, diabete...).
Possiamo individuare alcuni termometri del grado di felicità (o infelicità in questo caso) delle persone che ci consentano di verificare se all'aumento del Pil sia corrisposto un aumento del benessere:
SOLITUDINE
Negli Stati Uniti, il tasso di persone che vivono da sole è passato dal 17% dell'insieme delle famiglie al 26%.
CRIMINALITÀ
Nei paesi OCSE, tra il 1972 e il 1992, il numero delle incarcerazioni è raddoppiato, passando da 44 a 88 su 100 mila abitanti.
DEPRESSIONE
Il quotidiano statunitense Usa Today ha stimato che il consumo di farmaci antidepressivi negli Stati Uniti è aumentato di quattro volte dal 1988. Il National Centre for Health Statistics, sempre americano, ha invece rilevato che all'11% dei dodicenni vengono prescritti questo tipo di medicinali. Secondo un rapporto dell'Università Cattolica di Milano, dal 2000 al 2008 l'utilizzo di antidepressivi in Italia è più che triplicato, segnando un + 310%. E questo prima che la crisi economica iniziasse.
SUICIDI
Secondo l'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), ogni anno nel mondo quasi un milione di persone si toglie la vita, molte di più di quelle uccise (mezzo milione) e delle vittime di guerra (250 mila). Secondo l'Ocse, nel corso degli ultimi trent'anni, i suoi paesi membri hanno visto un aumento dei suicidi in media del 10%.


L'ESAURIBILITÀ DELLE RISORSE
I limiti della crescita sono definiti anzitutto dalla quantità rimanente di fonti non rinnovabili o che lo sono in tempi geologici. Storicamente, nella maggior parte delle società, queste risorse erano considerate beni comuni che non dovevano appartenere a nessun singolo e andavano tutelate dagli apparati statali esistenti. Ciascuno poteva goderne nei limiti stabiliti nell'interesse della collettività. L'uso delle risorse non rinnovabili era regolamentato dal principe o dallo stato affinché fossero prelevate in relazione alla loro esauribilità. Anche le fonti rinnovabili come acqua, fauna e flora godevano di simili tutele. Oggi la rapacità dell'economia moderna ha spogliato il senso comune di questa dovuta attenzione verso la natura.
IL LIMITE FISICO
L'intuizione dei limiti della crescita economica trova il suo fondamento scientifico nel secondo principio della termodinamica che sostiene l'irreversibilità delle trasformazioni dell'energia nelle sue diverse forme e la conseguente formulazione dell'entropia, processo che si sviluppa nel tempo in modo univoco. Questa legge fisica incide notevolmente sull'economia dato che si fonda su questo tipo di trasformazioni. Per esempio, i prodotti che si ricavano da esse, come rifiuti e inquinamento, non possono essere più riconvertiti nell'energia e nella materia che erano precedentemente. Da qui l'esistenza di un limite finito insormontabile alle trasformazioni effettuabili.
L'ultimo legame dell'economia con la natura è stato reciso intorno al 1880, quando il fattore natura è stato eliminato dalle funzioni della produzione. A partire da quel momento, la produzione economica è stata sempre concepita come attività scevra da ogni limite ecologico. Si realizza così un incosciente sovrautilizzo delle risorse non rinnovabili disponibili e un sottoutilizzo dell'abbondante e gratuito flusso di energia solare.
Su queste basi, l'intellettuale ed economista rumeno Georgescu-Roegen ha costruita la sua teoria della bioeconomia, che si basa su una concezione dell'economia che tenga conto della biosfera, data l'impossibilità di una crescita infinita all'interno di un mondo finito.



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