venerdì 3 maggio 2013

Il vecchio che avanza

Si può dire di tutto su Giorgio Napolitano. Si può dire che è di un'altra generazione da rottamare, si può dire che ha fatto male ad accettare la rielezione, si può essere più o meno in disaccordo con le sue idee e i suoi comportamenti da capo dello stato. Ma di certo non si può dire che non sia una persona intelligente. Anche Grillo ha dovuto riconoscerlo dopo il loro incontro nel primo giro di consultazioni. Tra i possibili premier che Napolitano poteva scegliere (in primis Amato, forse più apprezzato dal Pdl), ha scelto il 46enne Enrico Letta. Uno dei presidenti della repubblica più vecchi del mondo ha conferito l'incarico di presidente del consiglio ad uno dei più giovani.

L'età non è un dato di poco conto: è il modo di Napolitano di rispondere alle istanze di cambiamento così fortemente espresse dall'opinione pubblica. O dalla sua parte preponderante. Non dall'elettorato del Pdl che, per dirla con Marco Travaglio, seguirebbe Berlusconi anche se domani dicesse di voler fare la dittatura del proletariato. Non da chi ha votato Monti, persone di destra che non sopportano più l'avanspettacolo berlusconiano. Sicuramente quella domanda di profondo rinnovamento proveniva dagli elettori del Pd, di Sel, del Movimento 5 Stelle e da chi si è rifiutato di andare alle urne. Quindi, dalla maggioranza degli italiani.

Se le forze politiche guidate da Vendola e Grillo hanno mantenuto la barra dritta su questa strada, il Pd ha tragicamente tradito i suoi elettori. Durante l'ultima campagna elettorale e nelle prime settimane della nuova legislatura, il Pd aveva dato i primi segni di rottura con il passato: ha fatto le primarie sia per il capo della coalizione di centrosinistra sia per i parlamentari, ha messo nelle proprie liste frotte di giovani dalla faccia pulita, ha allontanato certi impresentabili per motivi giudiziari e, soprattutto, si è presentato in forte opposizione al berlusconismo, con il quale mai prima era stato così duro. Bersani, in prima persona, portava avanti questo nuovo corso del Pd e ha continuato a farlo anche dopo la sonora sconfitta delle urne. Quando però è arrivato il momento di mettere in gioco le sue abilità di politico con una lunga esperienza ha fatto un buco nell'acqua e si è preso insulti da tutti. Questo perché ha stravolto il giudizio dato su Grillo e il M5S in campagna elettorale e ha cominciato a inseguirli, chiedendo loro i loro voti come se gli fossero dovuti, data la supposta superiorità morale della sinistra, quando si sapeva fin dall'inizio che non li avrebbe mai avuti. Quindi si è arrivati all'elezione del capo dello stato, quando quella parte del Pd che ha sempre strizzato l'occhio al centrodestra ha ricominciato ad agitarsi e ha platealmente rivendicato il comando, spaccando il partito.

Come era ormai chiaro da tempo, la partita del Quirinale era indissolubilmente legata a quella per il nuovo governo e così è stato. La convergenza su Napolitano ha aperto la strada all'ipotesi governissimo o inciucio o larghe intese o grande coalizione, come dir si voglia, ce n'è per tutti i gusti. Eletto il capo dello stato, in un battibaleno, è stato conferito l'incarico a Enrico Letta e, da lì all'entrata in carica del nuovo governo, è passato pochissimo. La velocità delle operazioni di formazione dell'esecutivo e il disbrigo dei molteplici passaggi istituzionali è stata fulminea rispetto alla consuetudine e anche questo è un altro modo di Napolitano & co. di rispondere a modo loro alle domande di cambiamento, oltre alla fretta per dare il proverbiale segnale ai mercati e all'Europa. La strategia di Re Giorgio è stata subito mutuata da Letta che ha composto una squadra di governo giovane e con una notevole componente femminile, tra cui il primo ministro di colore della storia d'Italia. Un tentativo di dare la parvenza di una qualche riduzione dei tanto vituperati costi della politica è la decisione di abolire gli emolumenti per quei ministri che ricevono già l'indennità parlamentare.

Ma tutto ciò è vero cambiamento? È una reale rottura con il passato? Certo che no. Quelle di Napolitano e Letta sono mere opere di maquillage, atti simbolici che non cambiano la sostanza del governo appena varato, degno erede del precedente. Esso continuerà a percorrere la strada dell'austerità voluta dall'Europa senza poter intervenire sui mali atavici del nostro paese, come l'evasione fiscale, la corruzione e, più in generale, il deficit di legalità, perché Berlusconi impedirà qualsiasi passo avanti in tal senso, essendo preoccupato più dai suoi processi che dai problemi dell'Italia. Chi deve rammaricarsene di più è il Pd che ha stravolto le promesse fatte ai propri elettori e ha preferito finire di nuovo nelle braccia di Berlusconi, in piena sindrome di Stoccolma, piuttosto che aprire un dialogo alla pari con il M5S. Come disse qualcuno, con questi qui non vinceremo mai.

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