martedì 1 dicembre 2015

Immigrati: perché tutti ora?


Con alcuni amici, ho costituito un gruppo denominato Muovere Le Idee. Il nostro intento è di spiegare la politica attraverso video brevi e leggeri da diffondere sul web. Ecco la versione originale, scritta da me, del copione del nuovo video.

Se fino a qualche mese fa, il problema di accogliere i migranti era soltanto di Italia e Grecia, ora l’Europa si sta accorgendo che questo fenomeno coinvolge l’intero continente. E trovare una soluzione non risulta affatto semplice. Cerchiamo allora di scavare più a fondo nella questione.

LE ROTTE. Fino a qualche tempo fa, la rotta principale per giungere in Europa era quella mediterranea. I migranti partono dall’Africa subsahariana, spesso da paesi sconvolti dalla guerra come Eritrea, Niger e Somalia; raggiungono tra mille difficoltà la Libia e da qui salpano su barconi fatiscenti alla volta di Italia, Malta e Grecia. Il tutto pagando cifre molto alte e rischiando la propria vita, sia durante il tragitto in mare sia sulla terraferma, dal momento che passano per le mani di spietati trafficanti di esseri umani.

Negli ultimi mesi però, si è aggiunta un’altra rotta: quella balcanica. A percorrerla, sono soprattutto siriani e afghani che salpano dalla Turchia e raggiungono le isole greche in poco tempo, ma poi devono attraversare tutti i Balcani, passando dalla Grecia in Macedonia e poi in Serbia, dove tentano di entrare in Ungheria, il primo paese dell’Unione Europea dopo la Grecia. Da qui, grazie all’area di libera circolazione creata con gli accordi di Schengen, possono muoversi liberamente e raggiungere la loro meta, di solito l’Austria, la Germania o la Svezia.

Quindi due rotte: quella mediterranea e quella balcanica. Se i migranti giunti passando dal mare Mediterraneo sono sostanzialmente lo stesso numero degli anni precedenti, l’immigrazione proveniente dai Balcani è aumentata vertiginosamente.

LE RAGIONI. Le ragioni per cui queste persone decidono di lasciare la propria terra, abbandonando le loro case e i loro affetti, variano da paese a paese. Spesso viene fatta la distinzione tra migranti economici e profughi. I primi, trovandosi in povertà nei loro luoghi d’origine, partono in cerca di un lavoro e di condizioni di vita migliori. I profughi sono invece coloro che fuggono dalla guerra e che perciò hanno diritto ad essere accolti. Tuttavia, spesso non è facile distinguere le due categorie perché, anche laddove non vi fossero conflitti armati, potrebbero esserci violenze e discriminazioni.

Di sicuro possono godere dello status di rifugiati i siriani, che costituiscono circa la metà di tutti gli immigrati entrati in Europa dall’inizio dell’anno. La guerra tra il regime di Assad, i ribelli e l’Isis sta imperversando in Siria da 4 anni e ancora non se ne vede la fine. Di recente, il regime di Assad, da una parte ha dato via ad una campagna di arruolamento obbligatorio per l’esercito, dall’altra incentiva chi è scontento o chi gli si oppone ad emigrare.

A percorrere la rotta balcanica però non sono solo i siriani, ma anche altri profughi come iracheni e afghani e migranti economici che arrivano da Pakistan e Bangladesh. Se molte persone hanno cominciato a percorrere questa strada per arrivare in Europa è anche grazie alla sua convenienza economica: chi arriva afferma di aver pagato 2-3 mila dollari, contro i 5-6 mila di chi parte dalla Libia. Inoltre è molto meno pericolosa, dato che il tratto di mare da percorrere è molto più tranquillo e breve, qualche decina di minuti contro diverse ore di viaggio.

LA RISPOSTA. Come ha reagito l’Europa davanti a questo enorme flusso di persone in arrivo? Le istituzioni comunitarie sono state colte impreparate e ogni paese ha fatto un po’ i propri interessi.

Il trattato che regola la materia dell’immigrazione fra i paesi europei è stato firmato nel 1990 a Dublino, in Irlanda. Sebbene nel tempo gli siano state apportate diverse modifiche, il suo principio di base stabilisce che il primo paese in cui il rifugiato approda sia responsabile della sua identificazione e del vaglio della sua richiesta d’asilo. E se questa verrà accettata, sarà quel paese a doverlo ospitare.
Per questo motivo, quando i migranti arrivano in Italia, in Grecia o in Ungheria spesso non vogliono farsi identificare, avendo pianificato di stabilirsi in altri paesi europei.

Nelle ultime settimane, abbiamo visto come, anche a causa di questa regola, gli stati europei si siano scontrati sul tema dell’immigrazione. L’Ungheria ha addirittura costruito un muro di filo spinato lungo tutto il confine con la Serbia, respingendo i migranti che provavano ad oltrepassarlo. Così, essi hanno cominciato a dirigersi verso la Croazia che, dopo un primo momento di apertura, li ha reindirizzati verso Serbia e Ungheria. La Germania, dal canto suo, con una decisione inaspettata, si è detta disponibile ad accogliere i profughi siriani, sebbene non sia stato predisposto un piano di trasporto dei migranti, che devono comunque percorrere tutto il tragitto con i propri mezzi e superando gli ostacoli posti dai paesi dell'Est.

L’Europa ha anche provato ad affrontare la crisi in modo unitario, spingendo per una condivisione degli immigrati. Il 22 settembre il Consiglio dei ministri degli interni dell’Unione ha predisposto un piano di condivisione obbligatoria di 120 mila migranti, che si applica immediatamente ai 66 mila provenienti da Italia e Grecia, mentre restano in sospeso i 54 mila da prelevare in Ungheria. Tuttavia, questo tentativo ha visto una strenua opposizione di molti paesi, soprattutto quelli dell’Europa Orientale: hanno infatti votato contro Ungheria, Romania, Repubblica Ceca e Slovacchia, con la Finlandia che si è astenuta. Successivamente, il Consiglio Europeo dei capi di stato e di governo dell'Unione ha stabilito la costruzione di “hot spot”, ossia di centri per l'identificazione di chi arriva, nei paesi maggiormente interessati dall’immigrazione, oltre ad aver stanziato un miliardo di euro di aiuti militari per fronteggiare l’emergenza.

IN CONCLUSIONE. Benché molti cerchino di farci credere il contrario, il problema dell’immigrazione non è affatto semplice da risolvere. Ciò che è certo, è che si tratta di una questione che riguarda l’Europa intera. Nessun paese può fare da solo o guardare da un’altra parte. L’Onu ci ha messo in guardia dal fallimento nel trovare un accordo, perché questo potrebbe portare alla fine del concetto stesso di unità europea. In tutto questo, però, non si può dimenticare di avere a che fare con le vite di molte persone, molte delle quali continuano a morire nel mar Mediterraneo, colpevoli soltanto di aver desiderato una vita migliore.

sabato 28 novembre 2015

COP21: l'ultima occasione per salvare il clima



In questo video di Muovere Le Idee, qualche tempo fa avevamo spiegato quanto il problema del cambiamento climatico fosse grave e urgente. Oggi scopriamo che il 2015 sarà l'anno più caldo di sempre, mentre la temperatura globale è cresciuta di un grado rispetto ai livelli preindustriali e si prevede un aumento fino a 4-5 gradi entro la fine del secolo. Gli scienziati prevedono che un incremento superiore ai 2 gradi causerà gravi catastrofi naturali come gli uragani, la desertificazione, l'innalzamento del livello dei mari. Tutto ciò costringerà decine di milioni di persone ad emigrare e renderà piuttosto complicato produrre abbastanza cibo per una popolazione mondiale in costante crescita. Un modo per non consegnare alle future generazioni un pianeta invivibile c'è: ridurre le emissioni inquinanti e passare alle energie rinnovabili. A tal scopo, da lunedì 30 novembre fino all'11 dicembre, a Parigi, si terrà il COP21, la 21esima Conferenza delle Parti, che riunirà praticamente tutti i governi del mondo nell'intento di raggiungere un accordo almeno in parte vincolante per tagliare le emissioni. Per fare pressione sui governi nazionali affinché trovino un'intesa il più possibile ampia ed efficace, domani si terrà nelle città di tutto il mondo una Marcia per il Clima, dove si chiederà di firmare questa petizione.

Per approfondire:
Speciale di Repubblica, con un'intervista a Jeremy Rifkin

mercoledì 5 agosto 2015

Italicum: pregi e difetti


Con alcuni amici, ho costituito un gruppo denominato Muovere Le Idee. Il nostro intento è di spiegare la politica attraverso video brevi e leggeri da diffondere sul web. Ecco la versione originale, scritta da me, del copione del nuovo video.

Lo scorso 4 maggio, tra le proteste delle opposizioni e anche di parte della maggioranza di governo, è stato approvato l’Italicum. La nuova legge elettorale voluta da Renzi trasformerà radicalmente il sistema politico così come lo conosciamo oggi. Vediamo cosa prevede la nuova normativa e quali sono i suoi aspetti positivi e negativi.

LA LEGGE. In un precedente video, vi abbiamo parlato dei due tipi di sistema elettorale esistenti: proporzionale e maggioritario. L’Italicum è una via di mezzo: di base è un proporzionale ma è corretto in modo da produrre effetti maggioritari. Ma andiamo per ordine.
Il territorio nazionale, escluse Val d’Aosta e Trentino che manterranno il sistema uninominale, viene diviso in 20 circoscrizioni, che corrispondono in linea di massima alle regioni. Queste vengono poi divise ulteriormente in un totale di 100 collegi a livello nazionale. In ogni collegio, le diverse liste presenteranno dai 3 ai 9 candidati. Gli elettori troveranno sulla scheda elettorale il simbolo del partito con, alla sua sinistra, il nome del capolista bloccato, e alla sua destra, due righe per esprimere una o due preferenze tra i candidati della lista. Nel caso siano due, la seconda deve per forza essere di sesso diverso dalla prima, pena il suo annullamento. I capilista possono inoltre presentarsi in più collegi, fino a 10, per la precisione.
Ma come avviene la ripartizione dei seggi in parlamento? Il calcolo è su base nazionale e, come abbiamo detto, il procedimento è proporzionale. Tuttavia ci sono dei correttivi. Uno di questi è la soglia di sbarramento, che impedisce alle liste che hanno preso meno del 3% di ottenere dei seggi. L’altra correzione è il premio di maggioranza. Infatti, alla lista che arriva prima vengono assegnati 340 seggi (il 55% circa), a patto che essa giunga da sola al 40% dei voti. In caso contrario, si procederà ad un ballottaggio, cioè ad un secondo turno di votazioni, due settimane dopo il primo, a cui accederanno solo i due partiti più votati, senza possibilità di apparentarsi con altri come avviene a livello locale. Il vincitore otterrà il premio di maggioranza.
Un’altra caratteristica della nuova legge è la possibilità per chi si trova fuori dai confini nazionali di votare per corrispondenza nella circoscrizione estero. Lo potrà fare chi sarà fuori per almeno 3 mesi per ragioni mediche, di lavoro o di studio (come gli studenti Erasmus).
Infine, una clausola dell’Italicum prevede che esso valga solo per la Camera dei Deputati ed entri in vigore il 1° luglio 2016, poiché si presume che, entro quella data, il Senato non sarà più elettivo, per effetto della riforma costituzionale in discussione.

LA GENESI. Benché si parli da anni della necessità di una nuova legge elettorale, essa è divenuta indispensabile dopo che, nel dicembre 2013, la Corte Costituzionale ha bocciato il sistema precedente, il Porcellum, trasformandolo in un proporzionale quasi puro, come quello della prima repubblica. Così, il neosegretario del Pd, Matteo Renzi, nel gennaio 2014 propone tre diversi modelli di legge elettorale. Su uno di essi trova l’accordo con Berlusconi e prende vita una prima bozza dell’Italicum, sancita nel cosiddetto “Patto del Nazareno”, dal nome della piazza vicina alla sede del Pd dove si sono incontrati.
Da quella prima versione, però, la legge elettorale ha subito diverse modifiche:
  • su spinta del Nuovo Centro Destra e dei popolari, la soglia di sbarramento per accedere alla ripartizione dei seggi è stata abbassata dalle soglie molto elevate inizialmente previste al 3% di oggi. Inoltre sono state ammesse le candidature in più collegi;
  • la minoranza del Pd ha invece ottenuto un innalzamento della soglia per ottenere il premio di maggioranza al primo turno dal 35 al 40%, oltre alla norma sulla parità di genere nelle liste;
  • Forza Italia dal canto suo, dopo le batoste elettorali delle europee a maggio e delle regionali nello scorso autunno, ha dovuto cedere sul premio alla lista piuttosto che alla coalizione. Il partito di Berlusconi ha dovuto fare un passo indietro anche sulle liste bloccate, sebbene le preferenze non si possano ancora esprimere sui capilista, come avrebbe voluto parte del Pd. D’altra parte, però, per tranquillizzare Forza Italia sul fatto che non ci saranno elezioni anticipate, il premier ha concesso che l’entrata in vigore della riforma avvenga solo a metà 2016.

PRO E CONTRO. Vediamo ora le ragioni di chi è a favore e di chi è contrario alla nuova legge elettorale.
Il presidente del Consiglio Renzi sostiene fortemente la sua riforma, affermando che essa permetterà di creare fin da subito dopo le elezioni un governo stabile, senza dover ricorrere a litigiosi governi di coalizione o larghe intese. Ciò sarà permesso dal premio di maggioranza, che assegna circa il 55% dei seggi ad un solo partito, quello più votato.
Tuttavia, i politologi osservano che, in questi casi, lo scontro che prima esisteva tra i diversi partiti di una coalizione tende a spostarsi all’interno del partito di maggioranza, portando agli stessi risultati.
Il governo è anche venuto incontro alle opposizioni, introducendo le preferenze per scegliere molti dei candidati da eleggere. Inoltre, sono state previste delle misure per assicurare la parità di genere.
Tuttavia, i capilista restano decisi dai partiti. In questo modo, è molto probabile che la maggioranza dei deputati non sarà eletta direttamente dagli elettori.
Le opposizioni hanno poi lamentato l’approvazione della legge per mezzo di voti segreti e questioni di fiducia, strumenti parlamentari che servono per forzare il dibattito in aula e che non si addicono ad una legge così delicata come quella elettorale. Tant’è che i precedenti storici del voto di fiducia su una legge elettorale risalgono al fascismo e alla cosiddetta “legge truffa”.
L’approvazione dell’Italicum solo per la Camera, invece, ha ricevuto le critiche di alcuni giuristi. Il governo infatti dà per scontato che l’elettività del Senato verrà abolita dalla riforma costituzionale. Ma, se essa non dovesse andare in porto, ci troveremmo con due camere con gli stessi poteri ma con due maggioranze diverse e questo rappresenterebbe un grave problema per la governabilità.
Per quanto riguarda l’influenza che l’Italicum avrà sul sistema dei partiti, i suoi sostenitori prevedono che col tempo il panorama politico finirà per articolarsi su due grandi partiti, un po’ come succede negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, rendendo più semplice la scelta per gli elettori e più stabile il sistema nel suo complesso.
Tuttavia, altri non sono convinti che sia questo lo scenario più probabile. Credono invece che l’Italicum porterà il sistema indietro alla prima repubblica, con un grande partito di governo al centro (in particolare, il Pd) e alcune forze politiche agli estremi, che non riusciranno mai ad arrivare al governo.
Ma la critica più pesante che viene rivolta alla nuova legge elettorale è quella di accrescere a dismisura il potere del premier, trasformando di fatto il sistema parlamentare in uno quasi presidenziale, senza prevedere gli opportuni contrappesi che questo richiede, anche considerando l’imminente abolizione del bicameralismo.

Secondo i sondaggi, la questione della legge elettorale non è considerata una priorità dagli italiani. Questa posizione è comprensibile: i cittadini si aspettano che la classe politica faccia qualcosa per uscire dalla crisi economica e dare un lavoro a chi non ce l’ha. Tuttavia, l’assetto del sistema elettorale ha un’enorme influenza sulla possibilità di formare un governo stabile e rappresentativo, che possa occuparsi in modo efficace delle più importanti urgenze economiche. Se l’Italicum possa farlo, lo scopriremo solo alle prossime elezioni.

martedì 12 maggio 2015

Guida definitiva ai cambiamenti climatici

Articolo originariamente pubblicato su Ctrl Magazine.

Negli anni, nel parlamento italiano si è visto comparire di tutto: cappi, salumi, scatolette di tonno... Ma anche nel Congresso americano non si scherza: lo scorso febbraio, il senatore repubblicano Jim Inhofe ha lanciato una palla di neve in mezzo all'aula. Un nuovo strumento di battaglia politica contro i democratici? Nossignore. Inhofe voleva soltanto dimostrare a modo suo che, siccome fuori faceva freddo, il surriscaldamento globale è solo una frottola degli ambientalisti. Indirettamente, gli ha risposto l'Ipcc, il gruppo di scienziati di tutto il mondo riuniti dall'Onu: il surriscaldamento globale esiste ed è provocato al 95% dalle attività umane. E c'è di più: se non facciamo qualcosa subito per mantenere l'aumento della temperatura del pianeta sotto i due gradi, i cambiamenti saranno irreversibili e l'ecosistema terrestre conoscerà gravi cataclismi.


IL PROBLEMA

L'effetto serra. Il surriscaldamento globale è provocato da un fenomeno atmosferico detto "effetto serra". Gli studi hanno evidenziato come la concentrazione di alcuni dei gas di cui è composta la nostra atmosfera stia aumentando pericolosamente. L'incremento di questo strato gassoso lascia penetrare il calore solare, ma ne ostacola sempre più la fuoriuscita, alzando la temperatura sulla Terra, che viene ad assomigliare ad una serra, appunto.

I gas serra. I tre principali gas responsabili di tutto ciò sono il biossido di carbonio (meglio conosciuto come anidride carbonica, CO2), il metano (CH4) e il protossido di azoto (N2O). Dall'inizio della rivoluzione industriale ad oggi, la loro concentrazione nell'atmosfera è aumentata in misura abnorme, rispettivamente del 40%, 150% e 20%. Il metano in eccesso proviene dall'estensione dell'allevamento animale e delle colture a sommersione (come il riso), mentre la maggiore presenza di anidride carbonica è dovuta alla deforestazione per un quarto e alle nuove emissioni per il resto. Emissioni che provengono per il 35% dal settore energetico, per il 24% dalla lavorazione della terra, per il 21% dall'industria, per il 14% dai trasporti e per il 6,4% dalle attività edili.


Non è la prima volta nella storia terrestre che la concentrazione di CO2 nell'atmosfera varia. Il progetto europeo Epica, attraverso dei carotaggi nel ghiaccio nella calotta orientale dell'Antartide, ha potuto osservare l'andamento della presenza di anidride carbonica negli ultimi 820 mila anni e ha scoperto come essa si modifica periodicamente ma, fino alla rivoluzione industriale, è rimasta sempre al di sotto delle 300 ppm (parti per milione). A partire dalla seconda metà del XIX secolo, però, essa è salita rapidamente fino alle 402 ppm del 2014. Ben al di sopra di quella che gli scienziati indicano come la soglia di sicurezza, che è intorno alle 350 ppm.


L'aumento della temperatura. Questo boom di gas serra nell'atmosfera non è rimasto senza conseguenze. Il termometro della Terra ha già cominciato a salire. Dal 1880, anno in cui sono cominciate le rilevazioni, la temperatura della superficie terrestre è aumentata di 0,8 gradi Celsius. L'aumento non è graduale, ma si fa sempre più sostenuto man mano che il tempo passa. Il periodo che va dal 1983 al 2012 è stato il più caldo degli ultimi 800 anni nell'emisfero boreale. Inoltre, l'anno appena passato, il 2014, è stato il più caldo dall'inizio delle registrazioni, mentre i 10 anni più caldi sono stati tutti riscontrati dopo il 2000, con l'eccezione del 1998.


Previsioni. Le previsioni per il futuro non sono affatto facili da compiere. L'Ipcc, nel suo quinto rapporto, ci ha provato attraverso complessi modelli matematici e ha pronosticato, per il periodo 2081-2100 (rispetto al 1986-2005), un aumento tra 0.3 °C e 4.8 °C (0.3-1.7 °C nello scenario più favorevole, a basse emissioni serra, e 2.6-4.8 °C in quello peggiore, a elevate emissioni).


LE CONSEGUENZE

«Ok, farà sempre più caldo. Embè? Significa che al mare metteremo creme solari con la protezione più alta!»: questo è ciò che potremmo pensare su due piedi. Ma le cose non sono così facili. Il surriscaldamento globale influisce in modo pesante sul delicato equilibrio dell'ecosistema Terra. Alcuni effetti sono già visibili ma gli scienziati ne prevedono altri ancora più gravi, se non si inverte subito la rotta sull'inquinamento del pianeta. Vediamo quali sono.
  • Lo scioglimento dei ghiacciai. Le enormi calotte glaciali presenti nei due poli del globo si stanno restringendo ad un ritmo pressante. Questo fenomeno colpisce soprattutto l'Artico e la Groenlandia, ma anche il Polo Nord non è esente da problemi: nell'agosto 2008, per la prima volta da 125 mila anni, i ghiacci che lo collegavano agli altri continenti sono scomparsi e hanno permesso di circumnavigarlo. Lo scoglimento dei ghiacciai è una questione rilevante soprattutto per la sua conseguenza più diretta: l'aumento della massa d'acqua degli oceani.
  • L'innalzamento del livello dei mari. Tre quarti del nostro pianeta è occupato dagli oceani. Nonostante un'estensione difficile perfino da immaginare, la loro massa d'acqua sta aumentando visibilmente. Dall'inizio del Novecento ad oggi, il livello dei mari è cresciuto di 19 centimetri, più di quanto ha fatto nei precedenti 2 mila anni, e – come se non bastasse – l'aumento previsto entro la fine di questo secolo è compreso tra 26 e 82 cm. Ma non è l'unico guaio che devono affrontare gli oceani: le loro acque stanno diventando sempre più calde e acide, con risvolti nefasti sulla flora e sulla fauna che ospitano. La conseguenza sui continenti, invece, è la progressivamente erosione delle coste e la sommersione delle isole, che costringerà milioni di persone ad emigrare nell'entroterra, con tutti i problemi sociali che ciò comporta.
  • La perdita della biodiversità. Non sono a rischio solo animali e vegetali del mare, ma anche quelli che vivono sulla terraferma. Il surriscaldamento globale, infatti, mette a repentaglio la sopravvivenza di tutte quelle specie che non dovessero riuscire ad adattarsi al nuovo clima terrestre. Si stima che un aumento del termetro globale tra 1,5 e 3,5 °C, possa portare all'estinzione di un numero di specie viventi tra il 20 e il 70% in cento anni. Una vera e propria ondata di estinzioni, come quelle che il nostro pianeta ha vissuto nel suo passato remoto, per riprendersi dalle quali, ha impiegato 10 milioni di anni.
  • Gli effetti sul ciclo dell'acqua. L'implicazione più devastante del cambiamento climatico riguarda il ciclo dell'acqua, quel meccanismo perfetto della natura che consente all'acqua degli oceani di evaporare, formando le nubi, da cui ridiscenderà sotto forma di pioggia. Oggi, qualcosa rischia di alterare questo equilibrio: infatti, ogni grado di aumento della temperatura terrestre accresce del 7% la capacità dell'atmosfera di trattenere umidità. Ciò comporta un incremento delle precipitazioni, che però saranno sempre meno frequenti e più concentrate. Pertanto, specie nelle aree tropicali che vedranno la pioggia complessiva diminuire in favore delle zone temperate, i periodi di siccità dureranno più a lungo, accentuando anche il fenomeno delle desertificazione. Le conseguenze sulle coltivazioni non potranno che essere disastrose.
  • Uragani più numerosi. Non solo le piogge saranno sempre più estreme, ma anche un fenomeno per sua natura eccezionale come gli uragani, si verificherà sempre più spesso. Possiamo rendercene conto già oggi: dagli anni '70, il numero di uragani di categoria 4 e 5 è addirittura raddoppiato.


LE SOLUZIONI

Ci sono tre modi di affrontare il problema del surriscaldamento globale. Il primo è quello più utilizzato oggi dalla maggior parte delle persone e dei leader globali: mettere la testa sotto la sabbia. Del resto, si sa: preoccuparsi fa male alla salute, meglio andare incontro alla catastrofe con un sorriso sulle labbra. È lo stesso approccio alla base del debito pubblico: si lascia la patata bollente in eredità alle generazioni successive.

Un altro modo, molto più responsabile, di affrontare la questione è quello di chiedersi, come fanno molti, «come posso contribuire io a ridurre l'inquinamento e rispettare l'ambiente?». La risposta che molti si danno è quella di rendere il più autosufficiente possibile la propria abitazione, installando pannelli solari termici per l'acqua calda e fotovoltaici per la produzione di elettricità oppure realizzando il cappotto termico, che permette una notevole riduzione degli sprechi sul riscaldamento. Tutto ciò consente, oltre che di risparmiare sulle bollette, di ridurre il proprio consumo energetico, diminuendo le emissioni di CO2 necessarie per garantire il nostro fabbisogno di energia.


Spesso, però, si pensa che per fare la propria parte basti prendere piccoli accorgimenti come fermare il getto d'acqua della doccia mentre ci si insapona. Certo, è molto importante adottare comportamenti in linea con una condotta di vita rispettosa dell'ambiente. Ma queste piccole buone azioni individuali non bastano (tornando all'esempio della doccia, per capire quale risultato effettivo possa avere, basti pensare che il consumo d'acqua annuo di una famiglia media è pari al quantitativo necessario per produrre solo 5 kg di carne!).
Quindi, per trovare soluzioni davvero efficaci al problema dei cambiamenti climatici, è necessaria un'azione collettiva, che passi per una mobilitazione politica. Solo gli stati possono avere il potere di ridurre le emissioni di anidride carbonica mettendo in atto politiche volte a promuovere le energie rinnovabili e la conversione delle attività inquinanti.

Un timido tentativo di intraprendere questa strada è già stato fatto. Tutto è cominciato nel giugno del 1992, a Rio de Janeiro, dove si è svolto il primo Summit della Terra, che ha riunito i capi di stato e di governo di quasi tutti i paesi del mondo per discutere dei problemi ambientali. Il risultato di questa prima conferenza mondiale sul clima è stata la firma di un trattato con il quale gli stati si impegnavano a ridurre le emissioni, ma senza obblighi vincolanti. Quelli arriveranno con il Protocollo di Kyoto, nel 1997, che stabiliva delle quote di riduzione delle emissioni per i paesi industrializzati, che erano obbligatorie secondo il diritto internazionale. L'accordo entrò in vigore nel 2005, dopo la sua ratifica da parte di quasi tutti i 160 paesi firmatari. Soltanto gli Stati Uniti cambiarono idea nel frattempo (in seguito al passaggio di testimone alla Casa Bianca tra Clinton e Bush), nonostante siano responsabili di più di un terzo dell'inquinamento globale.
Un grande sponsor dell'accordo è stata l'Unione Europea, che al suo interno si è posta un obiettivo ancora più impegnativo, con il Pacchetto Clima 20-20-20 che prevede, entro il 2020, un aumento del 20% nell'efficienza energetica, una riduzione del 20% delle emissioni di gas serra e un aumento del 20% della quota di energie rinnovabili.
Recentemente, con l'accordo di Doha, si è deciso di estendere il protocollo di Kyoto fino al 2020. Le speranze per uno sforzo maggiore nella lotta al cambiamento climatico sono riposte nella conferenza sul clima che si terrà alla fine di quest'anno a Parigi.


Intanto, nel 1988, le Nazioni Unite hanno creato una Commissione Intergovernativa sul Cambiamento Climatico (IPCC), che riunisce importanti accademici di tutto il mondo allo scopo di studiare il surriscaldamento globale e trovare delle soluzioni. L'ultimo rapporto dell'organizzazione (insignita nel 2007 con il Premio Nobel) afferma che, per mantenere l'aumento della temperatura globale entro i 2 gradi, soglia che si ritiene di sicurezza, è necessario ridurre le emissioni del 40-70% entro il 2050 e azzerarle entro la fine del secolo. La soluzione proposta dall'Ipcc per affrontare una sfida così impegnativa si articola su quattro punti:
  • un uso più efficiente dell’energia;
  • un uso maggiore dell’energia prodotta con basse o nessuna emissione (anche perché le tecnologie per farlo esistono già oggi);
  • un miglioramento della cattura del carbonio (riducendo la deforestazione e adottando pratiche di stoccaggio dell'anidride carbonica);
  • un cambiamento nei comportamenti e negli stili di vita.
Secondo l'Ipcc, l'applicazione di queste direttive avrebbe effetti negativi sulla crescita economica solo in piccolissima parte (lo 0,06%), senza contare gli effetti benefici che si otterrebbero nel lungo termine.


IN CONCLUSIONE

A differenza di quello che accadeva in epoca preindustriale, oggi pare che il rispetto per l'ambiente sia scomparso. Spesso è considerato un lusso che non possiamo permetterci. Ma la protezione dell'ecosistema non è un capriccio di qualche ambientalista che non ha nulla di meglio da fare. La questione non è meramente estetica, né tantomeno riguarda la sfera morale (o comunque, non solo). Qui si tratta di tutelare quelle condizioni che permettono all'umanità di poter continuare a vivere sulla Terra. Il surriscaldamento globale è un problema di enorme portata che rischia di esploderci per le mani nel giro di pochi decenni, causando catastrofi naturali che, in un pianeta sovrappopolato e con le risorse in esaurimento, potrebbero creare una vera e propria polveriera. Per evitare questo pericolo, l'umanità è chiamata per la prima volta ad unirsi a livello globale, superando ataviche divisioni e riscoprendo il proprio destino comune. Solo così potremo garantire alle prossime generazioni un pianeta sano dove vivere e prosperare.

martedì 28 aprile 2015

I cambiamenti climatici


Con alcuni amici, ho costituito un gruppo denominato Muovere Le Idee. Il nostro intento è di spiegare la politica attraverso video brevi e leggeri da diffondere sul web. Ecco la versione originale, scritta da me, del copione del nuovo video.

La politica internazionale non è mai tranquilla. Questioni come l’Isis, la crisi ucraina o il nucleare iraniano fanno perdere il sonno a molti leader politici. Ma c’è un gravissimo problema che può mettere a repentaglio la stessa sopravvivenza della specie umana, ed è perlopiù ignorato. Stiamo parlando del surriscaldamento globale. Vediamo di che si tratta, cosa rischiamo e come fare per evitare la catastrofe.

L’alterazione del clima terrestre dipende da un fenomeno che sta avvenendo nella nostra atmosfera. Se fino a qualche decennio fa i raggi solari attraversavano questo strato di gas che ricopre il pianeta per poi essere dispersi nello spazio; ora, l’atmosfera è diventata più densa e questo blocca il calore del Sole sulla Terra, alzando la temperatura. Per questo, si parla di effetto serra.
A cosa è dovuto tutto ciò? I responsabili sono alcuni gas, come l’anidride carbonica, il metano e il protossido di azoto, la cui concentrazione nell’atmosfera è cresciuta molto a partire dalla rivoluzione industriale in poi, a causa delle emissioni delle attività umane e a causa della deforestazione.
Uno studio europeo mostra che la presenza di Co2 nell’atmosfera è sempre variata negli ultimi 800 mila anni, ma rimanendo sempre sotto la soglia delle 300 parti per milione. A partire dalla rivoluzione industriale, però, ha cominciato la sua crescita impetuosa fino a raggiungere le 400 parti per milione di oggi.
La conseguenza di questo aumento l’abbiamo vissuta sulla nostra pelle negli ultimi anni, con inverni sempre più miti ed estati sempre più torride. Infatti, il periodo 1983 - 2012 è stato il più caldo degli ultimi 800 anni nell’emisfero boreale e la temperatura globale è cresciuta di 0,8 °C nell’ultimo secolo. Anche se questa cifra può sembrare trascurabile, non è così: gli scienziati ritengono che un aumento superiore ai due gradi possa avere effetti rovinosi sul delicato ecosistema terrestre.

Nonostante quello che si può pensare su due piedi, il surriscaldamento globale non comporta soltanto l’uso di creme solare con una protezione più alta. Ecco una rassegna di tutte le conseguenze, in parte già visibili, dell’effetto serra.
Lo scioglimento dei ghiacciai è un processo in corso da tempo che ha già provocato l’innalzamento del livello dei mari di 19 centimetri negli ultimi cento anni. Per la fine di questo secolo, l’aumento è previsto tra 26 e 82 centimetri. Ciò costringerà decine di milioni di persone che vivono sulle isole o sulle coste a migrare nell’entroterra.
I cambiamenti climatici nei diversi ecosistemi porteranno all’estinzione di molte specie animali e vegetali che essi ospitano. Si stima che un aumento del termometro globale tra 1,5 e 3,5 gradi possa causare una perdita della biodiversità tra il 20 e il 70%.
L’effetto più devastante è sul ciclo dell’acqua. Ogni grado di aumento della temperatura terrestre rafforza del 7% la capacità dell’atmosfera di trattenere l’umidità. Questo comporta precipitazioni di minor durata e meno frequenti ma molto più intense. Un assaggio di questo fenomeno l’abbiamo visto proprio nel nostro paese negli scorsi anni, con nubifragi sempre più frequenti e distruttivi.
La concentrazione delle piogge provocherà anche lunghi periodi di siccità, specie nelle aree tropicali, che saranno soggette a processi di desertificazione sempre più intensi, tali da mettere in crisi la sussistenza alimentare di molti popoli.
Altri eventi meteorologici che si verificheranno sempre più spesso e in modi sempre più estremi sono gli uragani. Dagli anni ‘70, il numero di quelli di categoria superiore è addirittura raddoppiato.

Per ridurre le emissioni di gas serra, ciascuno di noi può fare molto nella vita di tutti i giorni. Per esempio, è fondamentale ricordare sempre la regola delle “tre erre”: erre come ridurre gli sprechi, erre come riusare gli oggetti finché è possibile, erre come riciclare praticando la raccolta differenziata.
Inoltre, è possibile fare molto per rendere meno inquinante la propria abitazione, installando pannelli solari termici per l’acqua calda e fotovoltaici per la produzione di elettricità, oppure realizzando l’isolamento a cappotto. L’investimento economico di queste opere viene presto ripagato dal risparmio sulle bollette.
Tutto questo è molto importante, ma l’impegno individuale non basta. Per fermare i cambiamenti climatici, è necessaria un’azione collettiva, un’azione politica. Alcuni tentativi di percorrere questa strada sono già stati fatti. Nel 1992, a Rio de Janeiro, in Brasile, si è tenuto il primo Summit della Terra, dove i leader di quasi tutti i paesi del mondo si sono impegnati a ridurre le proprie emissioni di gas serra. L’accordo però è stato reso vincolante solo nel 1997, con il Protocollo di Kyoto, che prevedeva quote di riduzione diverse per paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo. Il trattato è stato fortemente voluto dall’Unione Europea, che è riuscita a coinvolgere molte nazioni, ma non Stati Uniti e Cina, ovvero i due principali inquinatori del pianeta. L’accordo è entrato in vigore nel 2005 ed è stato recentemente prorogato fino al 2020, anche se altri paesi ancora si sono ritirati. Oggi le speranze di nuove intese sono riposte nella conferenza globale sul clima che si terrà nel dicembre 2015 a Parigi.
Nel frattempo, le Nazioni Unite hanno creato un gruppo di lavoro formato da scienziati provenienti da tutto il mondo, che periodicamente pubblica uno studio sui cambiamenti climatici. Nell’ultimo rapporto, si afferma che, affinché l’aumento di temperatura rimanga sotto i due gradi, è necessario dimezzare le emissioni entro il 2050 e azzerarle entro la fine del secolo.

Insomma, la sfida che ci aspetta è molto impegnativa. Oltre al surriscaldamento globale, un’altra ragione ci spinge a ridurre le emissioni inquinanti: l’esaurimento delle risorse. Già oggi, il tasso a cui consumiamo le risorse supera della metà la capacità rigenerativa del pianeta e, in futuro, con la crescita esponenziale della popolazione, sarà molto peggio. Le conoscenze e le tecnologie per cambiare le cose ci sono già, si tratta solo di volerle applicare.
La protezione dell’ambiente non è solo il capriccio di qualche amante della natura. Noi potremmo devastare il pianeta e lui, dovesse metterci anche milioni di anni, tornerà come prima o meglio di prima. No, la natura non c’entra: qui c’è in gioco la stessa sopravvivenza della specie umana, dei nostri figli e dei nostri nipoti. Per questo è necessario agire ora.

venerdì 20 febbraio 2015

Guida definitiva all'immigrazione

Articolo originariamente pubblicato su Ctrl Magazine.

Sia che pensiate che gli immigrati ci stiano invadendo per conquistare il mondo, sia che crediate che essi vadano accolti tutti e sistemati in hotel, in questo articolo vi diamo alcuni dati e sfatiamo qualche luogo comune sul fenomeno dell’immigrazione.


I DATI
Quanti sono. Ora è ufficiale: gli italiani soffrono della sindrome da accerchiamento da parte degli immigrati. Infatti, secondo un recente sondaggio effettuato da Ipsos Mori, in media gli italiani credono che il 30% della popolazione nazionale sia composta da immigrati, la percezione più distante dalla realtà se confrontata con quelle di altri paesi. Ma quanti sono allora gli immigrati in Italia? Secondo gli ultimi dati Istat disponibili (aggiornati al 1° gennaio 2014), la popolazione straniera in Italia ammonta a 4.922.085 persone, a cui vanno aggiunti i famigerati clandestini, le cui stime vanno dai 300 ai 650 mila. Arrotondando a cinque milioni e mezzo di individui, scopriamo che gli immigrati rappresentano poco più del 9% della popolazione residente nel paese.
Pure la diceria secondo cui «vengono tutti da noi» è infondata: Germania, Spagna e Regno Unito ospitano più stranieri dell’Italia. Senza considerare che in quasi tutti gli altri paesi europei ottenere la cittadinanza è più semplice e quindi molti stranieri non compaiono nelle statistiche (da noi, per diventare cittadini occorrono 10 anni di residenza ininterrotta, il permesso di soggiorno e delle garanzie economiche; tanto che sono solamente 670 mila gli stranieri naturalizzati).
Probabilmente la sindrome da accerchiamento dipende dalla straordinaria crescita che il fenomeno dell’immigrazione ha avuto di recente. Negli ultimi 15 anni, infatti, il numero di cittadini stranieri presenti in Italia è più che quadruplicato. Anche durante la crisi, l’immigrazione non si è fermata: dal 2007 al 2013, ha visto un aumento del 69%, da 2,6 a 4,4 milioni di presenze.



Chi sono. Nonostante molti usino il termine “marocchini” per indicare gli immigrati in genere, gli stranieri provenienti dal Marocco sono solo il 10% del totale, collocandosi al terzo posto delle nazionalità più presenti. La medaglia d’argento va invece agli albanesi, che sono l’11%, mentre sul podio più alto ci sono i romeni, che corrispondono al 21% della popolazione straniera totale. Infatti, benché l’attenzione di tutti sia concentrata sugli sbarchi a Lampedusa, negli ultimi anni sono proprio i flussi provenienti dall’Est Europa ad essersi ingranditi di più.



Cosa fanno. Sul totale degli occupati italiani, gli stranieri costituiscono circa il 10%. Sulla varietà dei lavori, non sono molto fantasiosi, le occupazioni sono quasi sempre le stesse e quasi tutte non qualificate. Il 15% si occupa di servizi domestici, l’11% di servizi alla persona, il 7% nelle costruzioni, un altro 7% nella ristorazione, poi un 6% nella pulizia e 5% nello spostamento delle merci. Anche se non è numericamente significativo, va segnalato il fenomeno del caporalato nelle campagne del Sud, dove molti immigrati clandestini vengono impiegati nella raccolta della frutta, con salari da fame, orari impossibili e senza tutele. Una nota positiva, invece, è la crescita 
clamorosa degli imprenditori fra gli immigrati, fra il 2011 e il 2013 il numero di imprese guidate da stranieri sono aumentate del 9,5%.


LA GESTIONE DELL’IMMIGRAZIONE
Cenni storici. Per la maggior parte della sua storia, l’Italia non ha mai avuto a che fare con l’immigrazione. Anzi la preoccupazione maggiore era per chi emigrava: si calcola che, tra il 1876 e il 1976, siano partiti dal nostro paese 24 milioni di persone. Solo con il boom economico degli anni ‘60, il flusso in uscita comincia ad arrestarsi e, anzi, si assiste ad un buon numero di rientri tra chi era emigrato. Man mano però cominciano ad arrivare anche gli stranieri, a causa sia della “politica delle porte aperte” praticata dal nostro paese sia delle politiche più restrittive adottate dagli altri stati. Il primo censimento Istat degli stranieri in Italia, realizzato nel 1981, li contava in 321 mila individui. Col tempo, però, sono continuati a crescere, seppur a ritmi contenuti, e dal 1933 il saldo migratorio è divenuto l’unico fattore che fa aumentare la popolazione italiana. Ma il nostro paese scoprì l’immigrazione nel 1991, quando iniziarono i flussi migratori di massa dall’Albania. I meno giovani ricorderanno certamente la nave Vlora, che l’8 agosto di quell’anno sbarcò a Bari con 20 mila persone.



Le politiche. Vediamo quando e come la politica ha scoperto il fenomeno dell’immigrazione e ha deciso di regolarlo.
1) Le prime leggi significative sull’immigrazione sono la Turco-Napolitano del 1998 e la Bossi-Fini del 2002. Esse, oltre a cercare di mettere un freno agli ingressi (nel 2002 si comincia ad usare la Marina per pattugliare le coste), prevedono l’istituzione di centri di identificazione ed espulsione e stabiliscono l’allontanamento - anche in forma coatta - per chi è entrato illegalmente. Infatti, sebbene la maggior parte degli immigrati presenti sul nostro territorio sia giunta via terra, spesso con un visto turistico, negli ultimi anni sono aumentati gli arrivi per mare. Quando i barconi della speranza arrivano sulle coste italiane, le persone a bordo vengono portate nei centri di primo soccorso, dove ricevono le prime cure mediche. Poi, vengono smistate in altri centri: in quelli di accoglienza, per i richiedenti asilo, e in quelli di identificazione ed espulsione, per chi deve essere espatriato. Le cronache hanno mostrato come le condizioni di questi centri siano spesso fatiscenti, oltre ad assomigliare a vere e proprie carceri per i modi in cui vengono rinchiusi i migranti. Da questi luoghi, in molti riescono a fuggire, per raggiungere gli altri paesi europei dove richiedono l’asilo politico. Infatti, se lo chiedessero in Italia, poi sarebbero costretti, a causa delle regole previste dai trattati europei europee, a rimanere nel nostro paese e non potrebbero ricongiungersi con i propri parenti negli altri stati.


2) Nel 2007, in reazione al costante aumento degli sbarchi di clandestini, il governo Berlusconi ha stipulato un accordo con la Libia di Gheddafi. Allo stato del Nord Africa venivano forniti fondi e motovedette per pattugliare le proprie coste e bloccare i barconi in partenza. Inoltre, gli immigrati che riuscivano comunque a raggiungere l’Italia venivano poi riportati in Libia. Alcune inchieste giornalistiche hanno però rivelato che il trattamento che gli riservava Gheddafi era inumano: i migranti venivano portati in centri simili a prigioni, dove venivano rinchiusi e maltrattati. Anzi, è accaduto anche che venissero abbandonati nel deserto a morire di stenti. Per aver avallato queste pratiche, l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Quanto è costato tutto ciò? Si stima, che fra il 2005 e il 2012, la spesa nelle politiche di contrasto all’immigrazione clandestina più il costo di funzionamento di tutto il sistema accoglienza degli immigrati ammonti circa a 1,5 miliardi di euro, di cui circa 230 milioni finanziati dalla Ue. Secondo il Dossier Caritas/Migrantes, «su 169.126 persone internate nei centri tra il 1998 e il 2012, sono state soltanto 78.081 (il 46,2% del totale) quelle effettivamente rimpatriate». Il tempo massimo di permanenza all’interno dei centri, è passato dai 30 giorni della legge Turco-Napolitano, agli attuali 18 mesi.
3) Quando, nel 2011, in Libia è scoppiata la guerra civile, il trattato è stato considerato decaduto. Inoltre, dato che nel paese nordafricano non esisteva più un’autorità statuale in grado di controllare il territorio, le partenze dei barconi della speranza hanno subito un’impennata. In Italia, però, il clima era cambiato e l’opinione pubblica aveva cominciato a preoccuparsi per i continui naufragi, che hanno prodotto una vera e propria carneficina. Si stima che, tra il 2000 e il 2013, siano morte più di 23 mila persone cercando di raggiungere l’Europa via terra o via mare. Così, nel 2013, il governo Letta ha dato avvio al programma “Mare Nostrum”, che prevedeva il dispiegamento di mezzi navali e aerei per soccorrere i barconi in difficoltà.
4) “Mare Nostrum” è stato però molto criticato, sia per i costi (9 milioni di euro al mese) sia perché rischiava di favorire le partenze dei barconi. Allo stesso tempo, pressoché tutte le forze politiche italiane hanno chiesto per lungo tempo l’intervento europeo a tutela di confini che sono soprattutto europei. Così, lo scorso primo novembre, è entrato in vigore il programma comunitario “Triton”. Benché questo non sostituisca completamente il programma precedente (anche perché il suo costo è molto inferiore), il governo italiano ha confermato che “Mare Nostrum” è da considerarsi concluso.

La questione profughi. Chi vuole chiedere asilo politico (un diritto espressamente garantito dalla nostra costituzione), solitamente ha due modi per farlo: arrivare nel paese e chiederlo in loco oppure farne richiesta in un campo rifugiati. L’Italia non permette questa seconda possibilità. Tant’è che il nostro paese è sesto in Europa per il numero di domande d’asilo. Questo costringe chi vuole arrivare qui a scegliere giocoforza la via dell’immigrazione illegale.


I LUOGHI COMUNI
Quando si sente parlare di immigrazione, si può avere la sensazione di assistere ad un festival di luoghi comuni. Vediamo allora di sfatarne alcuni e ristabilire un po’ di ordine.

1. «Ci portano via il lavoro»
Dal punto di vista economico, questa affermazione non ha senso. Perché, se è vero che gli immigrati occupano posti di lavoro, allo stesso tempo ne creano altrettanti. Infatti essi, non solo lavorano, ma consumano anche (cibi, vestiti, prodotti in genere), quindi fanno aumentare la domanda e pertanto la necessità di assumere nuovi lavoratori. Se ciò non bastasse, si sappia che «la crescita della presenza straniera non si è riflessa in minori opportunità occupazionali per gli italiani»: è la Banca d’Italia a parlare.

2. «Prendono 40 euro al giorno e stanno in hotel»
I soldi spesi quotidianamente dallo stato italiano per gli immigrati nei centri d’accoglienza sono in realtà 35 €, come media nazionale. Ma di questi solo 2 euro e mezzo vengono consegnati ai migranti per le loro necessità personali. Il resto serve per pagare le strutture che li ospitano, in attesa che vengano vagliate le loro domande d’asilo. È accaduto che, in mancanza di altri posti, gli immigrati venissero messi in alberghi, ma questi sono stati soltanto casi isolati. Come abbiamo detto, il più delle volte i centri che li accolgono sono molto miseri.

3. «Commettono reati»
Questa affermazione ha un fondo di verità dal momento che, tra la popolazione carceraria, un terzo è di cittadinanza straniera. A metterli dietro le sbarre, sono soprattutto reati legati alla droga (per il 26,6%) e contro il patrimonio (25,1%); seguono poi i reati contro la persona (perlopiù connessi con lo sfruttamento della prostituzione) e contro la pubblica amministrazione. Ça va sans dire che la percentuale di chi commette reati sul totale degli immigrati, sebbene sia superiore a quella degli italiani, resta molto bassa, quindi generalizzare dicendo che tutti gli immigrati commettono reati è comunque sbagliato.

4. «Gli danno tutte le case popolari»
Nei criteri per l’assegnazione delle case popolari, naturalmente non compare la nazionalità. Ciò che conta sono: il reddito, il numero di componenti della famiglia se superiore a 5, l’età ed eventuali disabilità. Inoltre, i dati confermano che le graduatorie proporzionalmente premiano gli italiani. Gli immigrati di solito sono svantaggiati perché giovani, in buona salute e con piccoli gruppi famigliari (poiché non ricongiunti).

5. «Prendono la maggior parte dei sussidi statali»
Questa asserzione è l’esatto contrario della realtà: infatti, i dati mostrano come le tasse pagate dagli immigrati sono più di quanto essi ricevono indietro in servizi e sussidi. Se essi contribuiscono al Pil per l’11%, ciò che lo stato stanzia per loro a fini sociali è soltanto il 3%. Il rapporto Caritas/Migrates 2012 stima in 1,7 miliardi di euro i benefici netti prodotti dagli stranieri a fronte del rapporto costi/benefici per le casse statali, comprese le spese sanitarie e di giustizia. Questo avviene perché, fra gli immigrati, è più alta la percentuale di chi lavora e l’età media è più bassa. Inoltre, dal momento che essi sono più giovani, i loro contributi pensionistici permettono di pagare le pensioni agli italiani.

6. «Portano le epidemie, come l’ebola»
Per quanto riguarda l’ebola, è praticamente impossibile che i migranti che giungono via mare ne siano affetti, dato che il tempo di incubazione è molto inferiore a quello che essi impiegano per arrivare in Italia dai paesi del centro dell’Africa, dove la malattia è diffusa. Potrebbero però essere portatori di altre malattie epidemiche, che comunque verrebbero riscontrate nelle visite mediche praticate appena dopo lo sbarco.


TIRANDO LE FILA
Speriamo che questa breve guida all’immigrazione sia stata d’aiuto a comprendere la complessità di questo fenomeno e funga da vaccino contro i veleni che vengono sparsi da molti. Anche se non si può nascondere che i flussi di centinaia di migliaia di persone che arrivano ogni anno nel nostro paese (anche su usato soltanto come punto di passaggio) non potranno che creare diversi problemi in futuro. Per affrontarli però è bene conoscere ciò di cui si sta parlando.

lunedì 26 gennaio 2015

L'elezione del Presidente della Repubblica


Con alcuni amici, ho costituito un gruppo denominato Muovere Le Idee. Il nostro intento è di spiegare la politica attraverso video brevi e leggeri da diffondere sul web. Ecco la versione originale, scritta da me, del copione del decimo video.

La notizia era filtrata da alcune settimane, ma è solo nel suo discorso del 31 dicembre che Giorgio Napolitano ha annunciato le dimissioni da presidente della Repubblica, formalizzate lo scorso 14 gennaio. Dopo essere stato sul trono del Quirinale per 9 anni, il primo ad esserci rimasto per un secondo mandato, Napolitano ha deciso di lasciare, a causa della sua avanzata età. Tra pochi giorni inizieranno le votazioni in parlamento per scegliere il suo successore. Prima di conoscere gli identikit dei candidati più papabili, vediamo quali sono i compiti del presidente della repubblica e come viene eletto.

L’articolo 87 della Costituzione recita: «Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale». Il suo ruolo è un po’ come quello dell’arbitro: deve restare al di sopra delle parti e garantire gli equilibri del gioco democratico. Rappresenta tutto il popolo italiano ed è il custode della carta costituzionale.
È una figura perlopiù simbolica, infatti non è titolare di nessuno dei poteri dello stato (esecutivo, legislativo e giudiziario) ma partecipa in una certa misura a tutti e tre. Per esempio, emana i decreti del governo, indice le elezioni delle camere e presiede l’organo di autogoverno della magistratura. Inoltre, è il capo delle forze armate.
Il compito più importante del presidente della Repubblica è quello di gestire le delicate fasi della formazione e della crisi del governo. Infatti, dopo il rinnovo del parlamento, spetta a lui consultare tutte le forze politiche ed individuare la persona adatta a ricoprire la carica di presidente del consiglio, scegliendo una figura che possa poi ricevere la fiducia da parte delle camere.
Quando, invece, un governo deve dimettersi poiché esse gli negano la fiducia, spetta sempre al capo dello stato valutare se ci sono le condizioni per formare un nuovo esecutivo. In caso contrario, ha il potere di sciogliere le camere.

Il presidente della Repubblica viene eletto dal parlamento in seduta comune, quindi da deputati e senatori congiuntamente. Al voto partecipano anche dei rappresentanti regionali, tre per ogni regione, eccetto la Val d’Aosta a cui ne spetta soltanto uno.
È il presidente della Camera dei Deputati a convocare la riunione, mentre il presidente del Senato ha il compito di fare le veci del capo dello stato in caso di impedimento o di dimissioni, come in questo caso.
In base all’articolo 84 della Costituzione, «può essere eletto Presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto cinquanta anni d’età e goda dei diritti civili e politici». Lo spoglio avviene a scrutinio segreto.
Per eleggere il capo dello stato, occorre raggiungere la maggioranza dei due terzi dei voti, nelle prime tre votazioni. Se il parlamento non raggiunge un accordo, dalla quarta votazione in poi, la soglia per l’elezione scende alla maggioranza assoluta, cioè la metà più uno dei componenti dell’assemblea.
Una volta eletto, il presidente presta giuramento di fedeltà alla Repubblica e alla Costituzione e rimane in carica per sette anni.

Vediamo ora chi sono i candidati più accreditati per la successione a Napolitano.

Il nome che ricorre di più è quello di Romano Prodi, nonostante il bruciante tradimento dei franchi tiratori del 2013. L’ex presidente del consiglio ha tre carte a suo favore: una caratura internazionale, una preparazione economica e un’esperienza europea (alla presidenza della Commissione). La sua candidatura, dalla quale però lui sembra aver preso le distanze, è già stata avanzata da Sel e da alcuni esponenti della minoranza del Pd come Civati e Bersani. È Renzi però a non vederlo di buon occhio. Mentre a Berlusconi, che non lo ha mai sopportato, potrebbe andar bene, dato che una figura forte come quella di Prodi riuscirebbe a controbilanciare il potere del premier.

Proprio Berlusconi tempo fa, in un’intervista, ha avanzato l’ipotesi di Giuliano Amato. Anche lui ex presidente del consiglio, oggi giudice costituzionale nominato da Napolitano, è già stato più volte candidato al Colle, senza esito. Il fatto però che il suo nome sia stato pronunciato in anticipo da una parte in gioco così importante, rischia di bruciarlo.

Un’altra figura già vagliata nelle scorse elezioni presidenziali è quella di Emma Bonino. Ex ministro, leader dei Radicali in tandem con Pannella, strenua difensora dei diritti umani e soprattutto donna, la sua elezione è quasi impossibile dato che ha ammesso da poco di essere malata di cancro.

Rientrano nel totonomi anche due personaggi preminenti dell’economia: l’attuale ministro del tesoro Pier Carlo Padoàn e il presidente della Bce Mario Draghi. Mentre quest’ultimo ha già fatto sapere di non essere interessato, il primo resta fra i più quotati, anche se poi lascerebbe vacante la sua posizione nell’esecutivo. Sempre per l’ambito economico, c’è da segnalare la figura di Franco Bassanini, più volte parlamentare e attuale presidente della Cassa Depositi e Prestiti.

Fra i candidati di formazione giuridica troviamo invece due giudici costituzionali: Sergio Mattarella e il giudice emerito Sabino Cassese. Entrambe figure di grande prestigio, Mattarella è stato più volte ministro con la Dc e con il centrosinistra, mentre Cassese è una figura più accademica. Al momento sembra che le quotazioni del primo siano più alte.

Un’altro candidato proveniente dal mondo della legge è l’ex magistrato e oggi presidente del Senato Piero Grasso. Il suo passato nella lotta contro la mafia, anche da procuratore nazionale, gli conferisce un notevole pedigree. Inoltre, sullo scranno più alto di Palazzo Madama ha saputo essere abbastanza equilibrato, tanto da essere stato inizialmente votato anche da una parte del Movimento 5 Stelle.

Un altro magistrato, ora in aspettativa, perché impegnato a dirigere l’Autorità Nazionale Anticorruzione, è Raffaele Cantone. Voluto da Renzi in persona in quella posizione, ha anche lui un curriculum antimafia di tutto rispetto.

È un avvocato invece Paola Severino, nelle vesti del quale ha difeso in giudizio pezzi grossi della politica e dell’imprenditoria italiana. È stata inoltre ministro della giustizia del governo Monti, il quale l’aveva già proposta come capo dello stato nel 2013.

Ci sono poi alcuni nomi della vecchia guardia del Pd, che non dispiacciono alla nuova. A partire dall’attuale ministro della difesa Roberta Pinotti e da Anna Finocchiaro, che hanno il pregio di essere donne. Abbiamo poi Walter Veltroni e l’attuale sottosegretario alla presidenza del consiglio Graziano Delrio.

Per quanto riguarda il Movimento di Grillo, i suoi candidati di bandiera saranno molto probabilmente Stefano Rodotà, giurista ed ex Pds già sostenuto nella scorsa tornata, e Ferdinando Imposimato, ex presidente aggiunto della Cassazione che si è occupato di mafia e terrorismo.

Forza Italia e la Lega, sebbene non siano concordi al loro interno su nomi precisi, hanno auspicato che il nuovo capo dello stato non provenga da sinistra.
Il Pd, invece, da parte sua, ha fatto sapere che annuncerà il proprio candidato 24 ore prima dell’inizio delle votazioni.

Insomma, l’elezione del nuovo presidente della Repubblica non sarà una passeggiata, anche a causa delle fronde interne sia al Partito Democratico che a Forza Italia. Le votazioni inizieranno il 29 gennaio, dal quel giorno in poi ogni momento sarà buono per conoscere il volto del nuovo capo dello stato.

lunedì 5 gennaio 2015

L'immigrazione


Con alcuni amici, ho costituito un gruppo denominato Muovere Le Idee. Il nostro intento è di spiegare la politica attraverso video brevi e leggeri da diffondere sul web. Ecco la versione originale, scritta da me, del copione del nono video.

Da alcuni anni, se chiedete alle persone quali sono i principali problemi del Paese, molte vi menzionano l’immigrazione. Pensano infatti che gli immigrati ci rubino il lavoro, delinquano e prendano più sussidi sociali degli italiani. Molti di questi luoghi comuni sono però infondati e, in generale, su questo tema c’è molta confusione. Vediamo allora di fare un po’ di chiarezza.

Secondo l’Istat, ad oggi in Italia risiedono 4,9 milioni di stranieri, a cui vanno aggiunti circa 500 mila irregolari. Insieme corrispondono al 9% della popolazione italiana. Altri paesi europei hanno valori più alti: tra questi la Spagna, il Regno Unito e la Germania.
Ciò che però ha alimentato una percezione ancora maggiore della diffusione di questo fenomeno è la fortissima crescita che ha avuto di recente nel nostro paese. Negli ultimi 15 anni, il numero di cittadini stranieri presenti in Italia è più che quadruplicato e, anche durante la crisi economica, ha continuato ad aumentare a livelli vertiginosi.
Le nazionalità più presenti sono i rumeni per il 21%, gli albanesi per l’11% e i marocchini per il 10%.
I lavori svolti dagli stranieri sono molto umili: le donne si occupano principalmente di servizi domestici e alla persona, mentre gli uomini sono inseriti nel settore edile e nella ristorazione. Va segnalato poi il fenomeno del caporalato nelle campagne, dove molti clandestini vengono sfruttati nella raccolta stagionale della frutta con salari da fame.
Di tutti gli immigrati presenti nel nostro paese, solo 670 mila sono riusciti ad ottenere la cittadinanza. Ciò si deve ai requisiti necessari per ottenerla, che risultano molto ferrei: vengono chiesti 10 anni di residenza ininterrotta, il possesso del permesso di soggiorno e delle garanzie economiche.

Sebbene la maggior parte degli immigrati presenti sul nostro territorio sia giunta via terra, spesso con un visto turistico, negli ultimi anni sono aumentati gli arrivi per mare. Questo è dovuto principalmente ai recenti sconvolgimenti politici in Nord Africa, che hanno fatto allentare i controlli sulle partenze.
Quando i barconi della speranza arrivano sulle coste italiane, le persone a bordo vengono portate nei centri di primo soccorso, dove ricevono le prime cure mediche. Poi, vengono smistate in altri centri: in quelli di accoglienza, per i richiedenti asilo, e in quelli di identificazione ed espulsione, per chi deve essere espatriato. Le cronache hanno mostrato come le condizioni di questi centri siano spesso fatiscenti. Da questi luoghi, in cui gli immigrati sono rinchiusi come in carcere, molti riescono a fuggire, per raggiungere gli altri paesi europei dove richiedono l’asilo politico. Infatti, se lo chiedessero in Italia, poi sarebbero costretti,  a causa delle leggi europee, a rimanere nel nostro paese e non potrebbero ricongiungersi con i propri parenti negli altri stati. Per quanto riguarda i rimpatri, tra il 1998 e il 2012, delle 170 mila persone che dovevano essere riportate nei loro paesi d’origine, solo la metà è stata effettivamente espulsa.

Al fine di bloccare i flussi, alcuni anni fa il nostro paese ha stipulato un accordo con la Libia di Gheddafi, che prevedeva la fornitura di imbarcazioni equipaggiate per bloccare quelle degli scafisti. Gli immigrati che riuscivano comunque a partire e a giungere sulle nostre coste venivano poi riportati in Libia. In seguito, però, l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per questa pratica in quanto, oltre a non consentire ai migranti di chiedere asilo, li consegnava ad un regime dittatoriale che li rinchiudeva e li seviziava, quando non li lasciava morire di stenti nel deserto (come riportato da alcune inchieste giornalistiche).
Successivamente, il nostro paese ha cambiato totalmente rotta e ha avviato il programma “Mare Nostrum”. Questa iniziativa prevede il dispiegamento di mezzi aerei e marittimi nel Mar Mediterraneo per soccorrere le imbarcazioni di immigrati che si trovano in difficoltà e scongiurare la carneficina che è avvenuta in questi anni: si stima che, tra il 2000 e il 2013, siano morte più di 23 mila persone cercando di raggiungere l’Europa via terra o via mare.
Con l’entrata in vigore del programma europeo Triton lo scorso primo novembre, il governo italiano ha affermato di voler concludere Mare Nostrum, anche se la Commissione europea ha avvertito che Triton non sarà in grado di sostituire completamente il programma italiano.

Ora passaremo in rassegna alcune affermazioni che si sentono spesso fare sugli immigrati per verificarne la veridicità.

“Ci portano via il lavoro”
Dal punto di vista economico, questa affermazione non ha senso. Perché, se è vero che gli immigrati occupano posti di lavoro, allo stesso tempo ne creano altrettanti. Infatti essi, non solo lavorano, ma consumano anche (cibi, vestiti, prodotti in genere), quindi fanno aumentare la domanda e pertanto la necessità di assumere nuovi lavoratori. Se ciò non bastasse, il fatto che la presenza degli immigrati non si traduce in minori opportunità per gli italiani è confermato dai dati della Banca d’Italia.

“Prendono 40 euro al giorno e stanno in hotel”
I soldi spesi quotidianamente dallo stato italiano per gli immigrati nei centri d’accoglienza sono in realtà 35, come media nazionale. Ma di questi solo 2 euro e mezzo vengono consegnati ai migranti per le loro necessità personali. Il resto serve per pagare le strutture che li ospitano, in attesa che vengano vagliate le loro domande d’asilo. È accaduto che, in mancanza di altri posti, gli immigrati venissero messi in alberghi, ma questi sono stati soltanto casi isolati. Come abbiamo detto, il più delle volte i centri che li accolgono sono molto miseri.

“Commettono reati”
Questa affermazione ha un fondo di verità dal momento che, tra la popolazione carceraria, un terzo è di cittadinanza straniera, anche se è reclusa principalmente per reati legati allo sfruttamento della prostituzione e alla droga.  Va poi detto che, nonostante la crescita straordinaria dell’immigrazione negli ultimi tempi, il numero di reati è rimasto sostanzialmente uguale a com’era vent’anni fa. Ricordiamo infine che la stragrande maggioranza degli immigrati è estranea ai fenomeni criminali, come lo è la stragrande maggioranza degli italiani.

“Gli danno tutte le case popolari”
Nei criteri per l’assegnazione delle case popolari, naturalmente non compare la nazionalità. Ciò che conta sono il reddito, il numero di componenti della famiglia se superiore a 5, l’età ed eventuali disabilità. Inoltre, i dati confermano che le graduatorie proporzionalmente premiano gli italiani.

“Prendono la maggior parte dei sussidi statali”
Questa asserzione è l’esatto contrario della realtà: infatti, i dati mostrano come le tasse pagate dagli immigrati sono più di quanto essi ricevono indietro in servizi e sussidi. Questo avviene perché, fra gli immigrati, è più alta la percentuale di chi lavora e l’età media è più bassa. Inoltre, dal momento che essi sono più giovani, i loro contributi pensionistici permettono di pagare le pensioni agli italiani.

“Portano le epidemie, come l’ebola”
Per quanto riguarda l’ebola, è praticamente impossibile che i migranti che giungono via mare ne siano affetti, dato che il tempo di incubazione è molto inferiore a quello che essi impiegano per arrivare in Italia dai paesi del centro dell’Africa. Potrebbero però essere portatori di altre malattie epidemiche, che comunque verrebbero riscontrate nelle visite mediche praticate appena dopo lo sbarco.

Insomma, la questione dell’immigrazione non è affatto semplice. Se da una parte molte forze politiche ci speculano sopra per ottenere consensi a man bassa, senza peraltro proporre soluzioni concrete e attuabili; dall’altra non è possibile nascondere i problemi che gli elevati flussi migratori degli ultimi tempi sollevano.