Oggi Mario Draghi si è insediato alla presidenza della Banca Centrale Europea, dopo cinque anni passati sullo scranno più alto di Banca d'Italia. Il 31 maggio 2011 ha letto davanti all'assemblea dell'organismo le sue ultime considerazioni finali. Di seguito riporto un mio resoconto di quel discorso.
Le considerazioni finali del governatore della Banca d'Italia – le ultime di Mario Draghi che finirà il suo mandato questo autunno e andrà a occupare la posizione più alta della BCE – si sono aperte con la parola magica tanto in voga negli ultimi tempi: cambiamento. È stato proprio questo termine al centro del breve compendio di Draghi delle decisioni prese durante la sua permanenza in Bankitalia. A ciò è seguita una panoramica dell'economia mondiale: l'uscita dalla crisi, i suoi lasciti e i problemi che tutt'oggi ostacolano la crescita: la disoccupazione, l'inflazione, i debiti pubblici troppo alti che legano le mani ai governanti e gli squilibri delle bilance dei pagamenti di parte corrente.
La ricetta del governatore per tornare a crescere si può riassumere ancora una volta in un lemma: regole. I passi fatti con la riforma dei mercati finanziari, soprattutto di quelli ombra o over-the-counter, sono importanti ma altre misure sono necessarie per non commettere più gli errori del passato. Un settore che va più fortemente regolamentato e vigilato è quello delle grandi banche, «devono poter fallire, se necessario: in modo ordinato (...) senza che i costi del loro dissesto siano sostenuti dai contribuenti».
Venendo all'Unione Europea, ha elencato tutti i risultati positivi: un deficit e un debito contenuti rispetto a quelli delle altre grandi potenze, il saldo corrente della bilancia dei pagamenti in pareggio e la ripresa economica che si sta consolidando. Non ha potuto fare a meno di registrare, però, la difficile situazione attraversata dall'unione economico-monetaria, causata dall'alleggerimento della sorveglianza sulle politiche di bilancio dei singoli stati. Questo lassismo ha portato oggi alcune nazioni come Irlanda, Grecia e Portogallo a non riuscire a ripagare il proprio debito pubblico. Il governatore uscente è comunque fiducioso: «la strada del risanamento è percorribile», ricordando l'esperienza italiana dell'inizio degli anni Novanta, quando lo Stivale riuscì a uscire da una crisi peggiore di quella ellenica. Nel combattere gli effetti della crisi, ha detto Draghi, è stata decisiva l'azione della BCE che, con misure quali l'accorta e tempestiva manipolazione del tasso di riferimento o il programma di acquisti di titoli sovrani emessi nell'area, ha fatto sì che nell'Eurosistema regnasse una certa stabilità.
Dalla situazione europea a quella italiana. Sebbene Draghi abbia ammesso la presenza di alcuni elementi che hanno comportato minori sacrifici per l'Italia di fronte alla crisi, ha comunque sottolineato la necessità di stringere la cinghia sulla spesa corrente nel triennio 2012-2014. Per far ciò, l'economista ha respinto l'ipotesi di tagli lineari, caldeggiando invece una manovra basata su un'attenta analisi delle singole voci di spesa dei bilanci degli enti pubblici e condita magari da una riduzione della tassazione sui redditi di lavoratori e imprese, una più dura lotta all'evasione fiscale e una maggiore responsabilizzazione degli enti locali nell'ottica del federalismo fiscale.
Quello che preoccupa Draghi è la crescita. Dei 7 punti percentuali persi dall'economia italiana durante la crisi, solo due sono stati recuperati. Nell'ultimo decennio il PIL è salito meno del 3 per cento, gli investimenti esteri diretti sono stati pari all'11% del PIL, la produttività oraria e le retribuzioni reali sono rimasti fermi: dati che si discostano non poco in negativo da quelli della Francia, una nazione molto simile alla nostra per popolazione. Le ragioni della stagnazione il governatore li trova nell'inefficienza della giustizia civile che fa fuggire gli investitori, nei bassi livelli di apprendimento del nostro sistema educativo, nella scarsa concorrenza nel settore dei servizi, nell'esigua dotazione di infrastrutture, nel loro alto costo e nei tempi biblici di costruzione, nella capillare diffusione del precariato, nelle confuse regole della rappresentanza sindacale, nella limitata partecipazione femminile al mercato del lavoro (venti punti in meno rispetto a quella maschile) e nella difficoltà di chi perde il posto di lavoro di trovarne un altro.
Un cenno particolare Draghi l'ha fatto sulla frammentazione delle imprese italiane, che sono del 40 per cento più piccole di quelle dell'area Euro. Ciò determina sì una certa flessibilità del mercato, ma anche una minore propensione a innovare, a svolgere attività di ricerca e sviluppo e a investire nelle economie emergenti.
Il futuro presidente della BCE ha quindi parlato di ciò che è più strettamente di sua competenza: le banche. Nel 2010, gli istituti italiani hanno fortemente aumentato i finanziamenti alle imprese. Ciò ha lasciato invariata l'incidenza dei prestiti a sofferenza iscritti in bilancio, anche se nei primi mesi di quest'anno la situazione sta migliorando. Durante la crisi, le banche di piccole dimensioni hanno fornito sostegno alle imprese, anche attraverso ristrutturazioni dei debiti e temporanee sospensioni delle rate. La raccolta bancaria, anche se risente delle tensioni sui debiti sovrani, è stata quasi completata, con il 40 per cento della somma proveniente dall'emissione di covered bonds. La richiesta di Banca d'Italia, nello scorso anno, di rafforzare il patrimonio, è stata prontamente accolta dalle banche. I cinque maggiori gruppi hanno visto rimanere costante al 4% il rendimento di capitale e riserve, nonostante il 7,8 registrato dai dodici più grandi intermediari europei. Draghi ha poi auspicato per le banche una più stretta regolamentazione, in ragione del fatto che durante la crisi, anche se la maggioranza ha tenuto un buon comportamento, alcuni istituti hanno subìto delle procedure di gestione provvisoria, amministrazione straordinaria e liquidazione. I due binari su cui dovrebbe muoversi il legislatore sono: l'ampliamento dello spettro delle misure di risoluzione della crisi e la dotazione alla Vigilanza (branca di Bankitalia a cui spetta il controllo degli intermediari bancari e finanziari) della possibilità di rimuovere dagli organici delle banche gli esponenti responsabili di condotte nefaste. A proposito della Vigilanza, l'economista ne ha spiegato i miglioramenti apportati, come il rafforzamento delle prassi operative e dell'ispezione mirata, facendone una struttura «pronta a persuadere se possibile, a prescrivere se necessario» composta da «civil servants preparati e retti» e che, in questo frangente in cui il sistema bancario deve adattarsi a nuove norme internazionali, si adopera affinché agli alti livelli si tenga conto delle specificità italiane e aiuta le nostre banche a stare nei nuovi paletti posti dalle autorità globali.
Mario Draghi si è avviato alla fine delle sue considerazioni finali facendo il bilancio dei suoi cinque anni in Banca d'Italia. Il governatore uscente ha rivendicato di aver sempre messo al primo posto la crescita economica del Paese e di aver illustrato tante volte obiettivi e linee di azione per favorirla alla politica, che però non ha voluto ascoltare. Di contro ha lodato il popolo italiano che, nei 150 anni della sua storia, è riuscito a costruire, progredire e superare le contrapposizioni. Ma lo sguardo è rivolto al futuro: l'Italia, ora, deve raggiungere il pareggio di bilancio, ricomporre la spesa e ridurre l'onere fiscale ai lavoratori e imprenditori onesti. Per tornare a crescere.
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