mercoledì 14 gennaio 2009

Dichiarazione dichiaratamente inascoltata

Sono passati ben sessant’anni da quel 10 dicembre 1948, in cui l’Assemblea delle Nazioni Unite approvò a Parigi, dopo tre anni di stesura, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, sulla scia dei buoni propositi presi dopo le atrocità della seconda guerra mondiale. Ciononostante tutti i paesi del mondo, chi più chi meno, sono ben lungi dall’applicarla intermente.
Infatti i trenta articoli di cui è composto il documento formano un codice etico con un valore più ideologico che giuridico, dato che non è rispettato né fatto rispettare.
Gli articoli che vengono subordinati dalla realtà delle cose si possono distinguere facilmente. Già l’articolo 5, che condanna la tortura e le punizioni inumane, non è tenuto in alta considerazione in molti paesi, dove, per esempio, esiste la pena di morte e la tortura, anche come metodo di interrogatorio. L’articolo 7 dichiara, inascoltato, l’uguaglianza davanti alla legge. Infatti in ogni nazione, anche in quelle più “libere”, c’è sempre una stretta cerchia di persone ricche e potenti “più uguali” delle altre. In Italia, per esempio, la classe politica gode di una serie di privilegi giuridici che garantiscono talvolta ai propri membri l’impunità. Questo è in contrasto, oltre che con la carta in questione, anche con la Costituzione della nostra repubblica. La carcerazione preventiva, vigente in molti stati, è in contraddizione con l’articolo 9, il quale afferma che nessuno può essere detenuto arbitrariamente. L’articolo 19 si pronuncia riguardo la libertà di opinione ed espressione, unita alla facoltà di cercare, ricevere e diffondere informazioni attraverso ogni mezzo. Nessun paese è veramente libero sotto questo punto di vista, tantomeno l’Italia, che si trova in posizioni vergognose nelle classifiche internazionali delle nazioni con più libertà di stampa, essendo assai distante dagli altri paesi occidentali. L’articolo 21 sancisce il diritto di partecipare al governo del proprio stato e sceglierne i rappresentanti, cosa che in Italia non è possibile grazie alla vigente legge elettorale, e di accedere in condizioni di uguaglianza ai pubblici impieghi, altro diritto soppiantato dalla diffusa corruzione e delle varie raccomandazioni. La prerogativa di avere un lavoro e una dignitosa retribuzione è sancita dall’articolo 23 della suddetta dichiarazione, non applicato anch’esso e dimostrato dagli ampi fenomeni della precarietà e della disoccupazione.
Questa lunga sfilza di violazioni deve essere ridotta, fino a scomparire, dai governi di tutti i paesi, ponendo gli obiettivi del documento in primo piano nei loro programmi; mentre il cosiddetto quarto potere dovrebbe ricordare la dichiarazione, non solo negli anniversari della sua promulgazione, ma ogni qualvolta che viene violata da una o più persone, in alto o in basso nella piramide sociale.

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