martedì 9 novembre 2010

Vieni via con me: definizioni di Italiani

Da "Vieni via con me" di Fabio Fazio e Roberto Saviano dell'8 novembre 2010.

Elenco di alcune definizioni del popolo italiano:
«L'italiano ha un tale culto per la furbizia che arriva persino ad ammirare chi se ne serve a suo danno.» Giuseppe Prezzolini
«Gli italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e le partite di calcio come se fossere guerre.» Winston Churchill
«Un popolo di eroi, di santi, di poeti, di artisti, di navigatori, di colonizzatori, di trasmigratori.» Benito Mussolini
«Questo popolo di santi, poeti, navigatori, di nipoti, di cognati.» Ennio Flaiano
«Popolo di navigatori che sbarca il lunario.» Leo Longanesi
«Gli italiani guadagnano netto ma vivono lordo.» Giuseppe Saragat
«Gli italiani sono fatti così: vogliono che qualcuno pensi per loro e poi, se va bene, va bene, se va male, ecco che lo impiccano a testa sotto.» Mario Monicelli

giovedì 9 settembre 2010

Il fischio della discordia

Negli ultimi giorni due eventi che hanno avuto come protagonisti due membri del PDL hanno riportato agli onori della cronaca la contestazione per mezzo del fischio. Offrendo così a politici, opinionisti, editorialisti e chi più ne ha più ne metta un nuovo spunto di riflessione per riempire con altre fesserie le pagine politiche di questa estate un po' sottotono (basti pensare alle lunghe discettazioni di agosto su cucine e appartamenti monegaschi).
Sul campo da combattimento si sono quindi schierati i pennivendoli berlusconiani da una parte e le solite voci fuori dal coro dall'altra. I casi belli sono stati naturalmente le due contestazioni a suon di fischi della "piazza" contro Marcello Dell'Utri e Renato Schifani, a cui è stato ricordato il loro passato in odor di mafia.
I due infatti sono stati invitati a due diversi meeting, quello culturale di Parolario e la festa del PD a Torino, rispettivamente. In entrambe le occasioni, non appena i due pidiellini hanno preso la parola, un folto gruppetto di attivisti (ora militanti di Qui Lecco Libera, ora grillini, ora attivisti del Popolo Viola, ora del Movimento delle Agende Rosse) hanno iniziato a stendere striscioni, fischiare e scandire frasi ineggianti i loro presunti legami con Cosa Nostra, impedendo di fatto ai due berluscones di tenere i loro interventi.
Ora, che le accuse di squadristi e fascisti lanciate in modo bipartisan siano ingiuriose e diffamanti è ineccepibile, resta comunque il fatto che le modalità di queste proteste non mi trovano affatto d'accordo. È  senz'altro comprovato che i due signori in questione non deficino affatto di pulpiti dai quali esprimere la loro opinione, ciononostante impedirgli di esteriorizzare i loro pensieri è decisamente antidemocratico. Se i contestatori non volevano starli a sentire, potevano tranquillamente andarsene o, meglio, fare una manifestazione parallela dove raccontare quello che dall'altra parte tacevano. I fischi sono sacrosanti ma solo quando sono spontanei, non organizzati a priori e con lo scopo di far tacere l'avversario. Altrimenti si scende al livello di quei tifosi berlusconiani che a loro tempo attaccarono Prodi al Motorshow di Bologna (solo che in quel caso nessuno lì condannò, tantomeno il presidente del senato).

venerdì 18 giugno 2010

Le ultime parole di José Saramago

Oggi è morto, all’età di 87 anni, José Saramago, unico premio Nobel per la letteratura in lingua portoghese. Ateo e comunista, si autoesiliò dal suo paese d’origine perché il presidente conservatore di allora, che è anche quello odierno, non aveva voluto presentare una delle sue opere ad un premio internazionale in quanto era un libro eterodosso su Gesù. Saramago si è occupato più volte anche dell’Italia, della cui situazione politica ha trattato, tra le altre cose, nel suo libro “Il quaderno” che Einaudi non ha voluto pubblicare poiché conteneva delle critiche al premier. Note sono state anche le sue prese di posizione in favore della Palestina, nel conflitto in Medio Oriente, per le quali è stato bollato come antisemita.
Nel 1947, dopo aver fatto lavori umili per il sostentamento suo e della sua famiglia, riesce a pubblicare la sua prima opera, che però non avrà molto successo. Riuscirà ad ottenere una certa notorietà passando dai libri poetici ai romanzi, soprattutto con Memoriale del convento e L'anno della morte di Ricardo Reis. Cecità è considerato il suo più grande capolavoro.
Stamattina, prima della sua morte sopraggiunta intorno alle 13, ha postato un ultimo post sul suo blog (caderno.josesaramago.org), dove ha lasciato forse l’insegnamento di una vita.

« Penso che la società di oggi abbia bisogno di filosofia. Filosofia come spazio, luogo, metodo di riflessione, che può anche non avere un obiettivo concreto, come la scienza, che avanza per raggiungere nuovi obiettivi. Ci manca riflessione, abbiamo bisogno del lavoro di pensare, e mi sembra che, senza idee, non andiamo da nessuna parte. »

mercoledì 2 giugno 2010

Un piano per salvare la civiltà

Riporto di seguito un capitolo del libro di recente uscita “Piano B 4.0 - Mobilitarsi per salvare la civiltà” di Lester Brown, guru del panorama ambientalista mondiale. L’opera è disponibile anche online a questo indirizzo.


Il Piano B è l’alternativa al "businnes as usual", al mantenimento di questo modello contemporaneo come se nulla stesse accadendo. Il suo obiettivo consiste nell’indirizzare il mondo da un cammino diretto verso il declino e il fallimento totale a un nuovo scenario in cui la sicurezza alimentare possa essere ritrovata, e la civiltà possa sostenersi nel tempo. Così come le cause che sottendono l’attuale crisi alimentare vanno ben al di là del sistema agricolo, anche la risposta al problema dovrà essere più articolata. In passato, il Ministero dell’Agricoltura poteva da solo essere responsabile della ricerca agronomica, offrire credito ai contadini, e seguire tutte quelle altre attività che immaginiamo essere legate alle competenze di questo ente. Oggigiorno, invece, per assicurare la sicurezza alimentare dovremo mobilitare ogni parte della nostra società.

Per questo motivo, il Piano B è molto più ambizioso di qualunque altra cosa l’umanità abbia fatto fino ad oggi, un’iniziativa senza precedenti né per dimensione, né per urgenza e importanza. Si divide in quattro obiettivi:
abbassare le emissioni nette di CO2 dell’80% entro il 2020;
stabilizzare la popolazione mondiale al di sotto degli 8 miliardi;
sconfiggere la povertà;
ripristinare lo stato di salute degli ecosistemi, includendo in questa definizione terreni, falde acquifere, foreste, praterie e zone di pesca.
Questo piano è ambizioso perché non è basato su ciò che è politicamente realizzabile, ma sulla realtà scientifica.

Il progetto di tagliare drasticamente le emissioni implica un radicale miglioramento dell’efficienza energetica a livello globale, investimenti massicci nello sviluppo delle energie rinnovabili, il blocco della deforestazione e miliardi di nuovi alberi da piantare. Il Piano B delinea, essenzialmente, una transizione da un’economia fondata sul petrolio, il carbone e il gas naturale a una basata sull’energia eolica, solare e geotermica.

L’obiettivo del Piano B in termini demografici è stabilizzare la popolazione verso gli 8 miliardi di persone o al di sotto. Ma non perché io creda che la popolazione globale raggiungerà mai i 9,2 miliardi e mezzo nel 2050 come previsto dalle Nazioni Unite. La maggior parte di quei 2,4 miliardi di persone in più rispetto ad oggi sono destinate a nascere in paesi in via di sviluppo, luoghi in cui le risorse fondamentali quali terra e risorse idriche, sono già in condizioni critiche e la fame sta aumentando. Molti dei sistemi che sostentano la vita umana in questi paesi sono avviati al declino, se non al tracollo completo.

La domanda non è quindi se la crescita demografica sia destinata ad arrestarsi prima di arrivare a 9 miliardi e due, bensì se si arresterà perché verrà programmata a livello mondiale una rapida diminuzione del numero di persone per nucleo famigliare o se si lascerà all’aumento della mortalità, il compito di limitare la crescita demografica. Il Piano B abbraccia la scelta che prevede una diminuzione della fertilità.

Eradicare la povertà è un obiettivo prioritario per tre motivi. In primo luogo è la chiave per accelerare la transizione globale verso famiglie meno numerose, permettendo l’accesso a tutte le donne in età fertile, e in ogni angolo del mondo, a cure sanitarie, assistenza e servizi di pianificazione famigliare. Inoltre, contribuisce a riportare i paesi poveri in seno alla comunità internazionale, permettendogli di fornire il proprio contributo alle questioni globali come la stabilizzazione del clima. Quando le persone non sanno se avranno da mangiare il giorno dopo, è ben difficile che dedichino tempo ed energie al cambiamento climatico. In terzo luogo, combattere la povertà è un gesto umano e umanitario. Una società civile si riconosce anche dalla sua capacità di prendersi cura degli altri.

Il quarto aspetto del Piano B si occupa di risanare e proteggere gli ecosistemi naturali che permettono l’esistenza della razza umana. Questo implica la tutela dei suoli dall’erosione, il divieto di deforestazione, la promozione del rimboschimento, la rigenerazione delle riserve ittiche e la messa in campo di uno sforzo globale per proteggere le falde acquifere migliorando l’efficienza d’uso delle risorse idriche. Fino a quando non saremo in grado di invertire il degrado di questi ecosistemi è assai improbabile che riusciremo a impedire l’avanzare della fame.

Il Piano B è un piano integrato con quattro obiettivi interdipendenti fra loro. Non potremo, ad esempio, stabilizzare la popolazione senza eradicare la povertà. Allo stesso tempo, non riusciremo a risanare gli ecosistemi del pianeta senza stabilizzare sia la popolazione che il clima, e non stabilizzeremo il clima senza il riequilibrio della crescita demografica. Né potremo mai sconfiggere la povertà senza risanare gli ecosistemi terrestri. Il nostro piano per salvare la civiltà è tanto ambizioso quanto urgente.

Il successo dipende dalla nostra capacità di agire con una rapidità paragonabile solo alle emergenze belliche, riconvertendo il sistema energetico globale come fu per il sistema industriale degli Stati Uniti nel 1942, dopo l’attacco a Pearl Harbor. Nell’arco di pochi mesi, gli Stati Uniti si trasformarono da un paese produttore di automobili in una gigantesca fabbrica di aeroplani, carri armati e navi da guerra. La riconversione di cui abbiamo bisogno non può prescindere da un radicale cambiamento nel nostro sistema di priorità e valori. E ciò non potrà avvenire senza sacrifici. Va ricordato che nel 1942 la chiave del successo della conversione industriale fu il divieto mantenuto per quasi tre anni della vendita di automobili nuove.

Siamo davanti a una sfida straordinaria, ma possiamo permetterci di essere ottimisti. Tutti i problemi che dobbiamo affrontare possono essere risolti con le tecnologie esistenti. E quasi tutto ciò che è possibile fare per traslare un’economia mondiale in declino nella direzione di un percorso sostenibile, è già stato realizzato in uno o più paesi. Per esempio, sono più di 30 le nazioni che hanno praticamente stabilizzato la propria crescita demografica.

Alcune tecnologie presenti sul mercato, quindi, ci permettono già di affrontare temi del Piano B. Relativamente all’energia, per esempio, possiamo ottenerne di più da una turbina eolica di ultima generazione che da un vecchio pozzo di petrolio. I nuovi veicoli ibridi plug-in che stanno per essere lanciati sul mercato, come la Chevrolet Volt, possono percorrere fino a 240 km con meno di 4 litri di benzina. Nell’economia energetica prevista per il 2020 dal Piano B, la maggior parte delle auto in circolazione negli Stati Uniti saranno ibridi plug-in o auto completamente elettriche e ad alimentarle sarà principalmente l’elettricità generata da impianti eolici per un costo inferiore a 30 centesimi di dollaro al litro di benzina.

Il mondo sta muovendo i primi passi verso una rivoluzione nell’illuminotecnica. Pochi anni fa abbiamo capito che una lampada fluorescente compatta poteva dare la stessa quantità di luce delle vecchie lampadine a incandescenza, usando appena un quarto dell’energia. Una gran bella notizia. Ora, stiamo imparando a usare una tecnologia ancora più avanzata: i LED, i diodi a emissione luminosa che illuminano usando appena il 15% dell’energia necessaria a una lampadina a incandescenza. Inoltre, i sensori di movimento possono spegnere le luci dove non servono, mentre altri sensori sono in grado di adattare l’emissione luminosa in risposta alla presenza o assenza di luce solare. Passare dalle lampadine a incandescenza ai LED e installare sensori di movimento e luci fotosensibili può ridurre la quantità di elettricità usata per l’illuminazione fino a oltre il 90%.

In quanto all’esistenza di modelli Piano B a livello nazionale, la Danimarca oggi ottiene oltre il 20% della sua elettricità dal vento e prevede di arrivare a oltre il 50%. Sono 75 milioni gli europei le cui case sono alimentate dall’energia eolica. Ventisette milioni di case cinesi hanno l’acqua calda grazie a impianti solari termici sul tetto. L’Islanda, paese in cui il 90% delle case sono riscaldate grazie all’energia geotermica, ha praticamente eliminato il carbone dal sistema di riscaldamento domestico. Nelle Filippine, il 26% dell’energia proviene da impianti geotermici.

Il mondo dopo il Piano B potrebbe assomigliare alle montagne riforestate della Corea del Sud. Qui il 65% del territorio, un tempo terra spoglia e deserta, praticamente priva di alberi, è stato riforestato con successo. Alluvioni ed erosione del suolo sono solo un ricordo, con le campagne coreane restituite all’equilibrio e alla stabilità ambientale. Negli Stati Uniti durante gli ultimi 25 anni è stato deciso di diminuire l’estensione dei campi coltivati, in gran parte a forte rischio di erosione, del 10%, destinando parte della restante percentuale a pratiche di aratura meno aggressive: il risultato è per ora una riduzione dell’erosione del 40% e nello stesso tempo un incremento del raccolto di cereali di circa un quinto.

Alcuni degli esempi più innovativi di leadership vengono dalle città. Curitiba, in Brasile, ha avviato una trasformazione del sistema dei trasporti nel 1974: nei vent’anni seguenti, il traffico automobilistico è calato del 30% mentre il numero di abitanti è addirittura raddoppiato. Amsterdam ha un sistema di trasporti diversificato in cui circa il 40% di tutti gli spostamenti urbani vengono effettuati in bicicletta. A Parigi, il piano di diversificazione dei trasporti, che assegna un ruolo di punta alla bicicletta, promette di ridurre il traffico di automobili del 40%. A Londra le macchine che vogliono entrare in centro devono pagare una tassa, i cui proventi sono reinvestiti nel potenziamento dei trasporti pubblici.

La sfida non consiste solo nella costruzione di una nuova economia, ma nel farlo con una rapidità paragonabile a uno sforzo bellico. È necessario evitare di superare i punti di non ritorno degli ecosistemi prima che il modello economico attuale cominci a collassare irreversibilmente. Partecipare alla realizzazione di un’economia mondiale più stabile è una sfida straordinaria, come straordinaria sarà la qualità della vita che potremo ottenere. Un mondo in cui si sia arrestata la crescita demografica, le foreste abbiano ripreso a espandersi e i livelli delle emissioni di anidride carbonica siano in diminuzione, è nelle nostre possibilità.