Nasdaq.
Ftse Mib. Default. Pil. Spread! Oggigiorno i media ci bombardano con
parole che non hanno alcun significato se non per banchieri e
speculatori; ma le nostre vite sono legate con fili invisibili a quei
numeri che salgono e scendono. L’operaio, il muratore, il
contadino, l’insegnante si mettono le mani nei capelli davanti allo
spread che si alza e al Pil che si abbassa.
Con
la globalizzazione ci era stato promesso un mondo nuovo, ci era stato
assicurato più benessere per tutti, un mondo più equo, la sconfitta
della povertà. Poi è arrivata la crisi a sparigliare i giochi; come
schede di un domino tutti i paesi occidentali ci sono caduti uno dopo
l’altro, sotto il peso dei mercati finanziari crollati su se stessi
come castelli di sabbia.
Il
dolce sogno della globalizzazione si è infranto nel 2007, quando
negli Stati Uniti il sistema dei mutui subprime è precipitato. Nel
paese di Ronald Reagan e della deregulation, da anni si elargivano
prestiti a soggetti che non potevano vantare alcuna garanzia di
restituirli. Le banche e gli istituti di finanziamento scaricavano
questi prestiti “spazzatura” sui piccoli investitori, con
operazioni al limite della legalità. Ma ad un certo punto il
castello di carte non ha potuto fare altro che crollare: alcune
banche sono fallite, altre sono state salvate in extremis da copiosi
aiuti pubblici. La recessione, però, era già cominciata. E dagli
USA aveva raggiunto l’Europa, il Giappone e poi anche i paesi in
via di sviluppo.
Dopo
qualche anno, mentre si iniziavano a intravedere i primi barlumi
della ripresa, nel Vecchio Continente è scoppiata la crisi dei
debiti degli stati, che imperversa tutt’ora sull’Eurozona. La
Grecia è stato il primo paese a vedere i tassi di interesse sul
proprio debito pubblico arrivare alle stelle, avviandosi sulla strada
del fallimento. La troika (UE, BCE e FMI) ha concesso aiuti economici
miliardari alla finanza ellenica, ma anche a quelle di Irlanda e
Portogallo. All’appello dei Piigs (“maiali” in inglese),
mancano l’Italia e la Spagna, oggi sorvegliati speciali.
Fin
qui la cronaca economica degli ultimi mesi, ma gli effetti più
pesanti della crisi si sono abbattuti sugli strati più deboli delle
popolazioni coinvolte. Sono aumentate le disuguaglianze, calati gli
stipendi, la disoccupazione ha raggiunto livelli astronomici (in
Italia quella giovanile è al 31 per cento).
Questi
problemi contingenti si aggiungono a quelli strutturali: la
sperequazione fra ricchi e poveri, sia all’interno delle nazioni
che fra paesi diversi, l’esasperazione dei sentimenti che fa
crescere l’odio nei confronti del diverso, il sovrasfruttamento e
l’inquinamento dell’ambiente.
Dinnanzi
a tutto ciò, oggi si sta sempre più diffondendo la proposta di un
radicale ripensamento dello stile di vita del pianeta, partendo
dall’attuale sistema economico. Alcune soluzioni possono sembrare
utopistiche ma non sapremo mai se possono funzionare se non
cominciamo da subito a dirigere la nostra rotta verso di esse.
Dal
punto di vista economico, urge seppellire definitivamente il
consumismo sfrenato che ha reso lo spreco un’abitudine nefasta ed è
stato attuato grazie ai bassi costi di produzione che si traducono in
salari da fame e diritti ridotti all’osso per i lavoratori dei
paesi in via di sviluppo. Ridurre dunque la produzione, eliminando i
beni inutili e aumentando la qualità di quelli necessari.
Abbassare
il Pil, per quanto possa sembrare una follia agli economisti
mainstream, è l’unico modo per tornare a vivere come persone e non
più come automi del “produrre, consumare, crepare”. Del resto
l’odierno regime energetico occidentale, che ha consentito questo
ritmo produttivo, è basato su fonti fossili – petrolio, carbone,
uranio – che non dureranno per sempre. Occorre pertanto ridurre gli
sprechi energetici, migliorando l’efficienza delle reti di
distribuzione e iniziando a costruire gli edifici con tecnologie di
questo secolo, e puntare sulle fonti rinnovabili (solare, eolico,
geotermico e biomasse). Dobbiamo riservare un’attenzione
particolare all’ambiente, che l’inquinamento sta distruggendo con
la crescita della temperatura globale. Si prospettano due gradi di
aumento che se davvero si realizzeranno daranno il via a una serie di
catastrofi: l’innalzamento del livello del mare, una maggiore
frequenza dei fenomeni climatici estremi (di cui l’Italia negli
ultimi mesi ha avuto degli assaggi), una desertificazione più
spinta.
Dato
ciò, è fondamentale una presa di coscienza globale immediata,
poiché l’attuale sistema economico ci può portare solo al
collasso. Dobbiamo rimettere al centro di tutto la persona e suoi
reali bisogni.