Con alcuni amici, ho costituito un gruppo denominato Muovere Le Idee. Il nostro intento è di spiegare la politica attraverso video brevi e leggeri da diffondere sul web.
Ecco la versione originale, scritta da me, del copione del settimo video.
Negli scorsi video, abbiamo parlato della crisi economica mondiale del 2008 e della sua prosecuzione nella sola eurozona negli ultimi anni. Nell’area della moneta unica, infatti, la crisi è ancora in corso, molti paesi faticano a riprendersi, la disoccupazione resta alta, la produzione bassa. La ricetta adottata per uscire dalla recessione è quella del rigore e dell’austerità. Vediamo di cosa si tratta.
Le crisi non sono un evento raro nella storia economica. Nell’ultimo secolo ce ne sono state diverse, a partire dalla grande depressione del 1929, per uscire dalla quale il presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt varò un ambizioso piano di riforme detto “New Deal” (“nuovo corso”), che cambiò radicalmente il rapporto dello stato con l’economia. Se prima l’intervento dello stato nel sistema economico era ridotto al lumicino, ora esso ricopriva un ruolo di primo piano. Infatti, Roosevelt diede il via ad una serie di investimenti pubblici nelle infrastrutture e a diverse riforme sociali, impegnando enormi quantità di fondi pubblici, al fine di far ripartire il sistema dell’economia americana. Il “New Deal” era ispirato dalle teorie di un celebre economista, John Maynard Keynes, il quale sosteneva che, in periodi di crisi, lo stato deve aumentare la propria spesa, per sostituirsi alla diminuita domanda di beni da parte dei privati. E, per farlo, può anche accendere nuovi debiti, a patto che li ricopra in periodi di espansione economica.
In questi anni, nell’eurozona, si sta facendo esattamente l’opposto. A fronte di una delle peggiori crisi di sempre, l’Unione sta chiedendo agli stati particolarmente in difficoltà di risanare i loro bilanci, tagliando le spese. Accade questo perché la speculazione finanziaria ha preso di mira i titoli del debito di alcuni stati, riassunti dall’acronimo Piigs (“maiali”, in inglese): Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna. Questi paesi hanno corso il rischio di non riuscire più a ripagare il loro debito, perché i mercati hanno cominciato a pretendere tassi di rendimento molto alti. Anche a causa del modo in cui è strutturata l’unione monetaria e ai meccanismi dell’euro, di cui abbiamo parlato in un altro video.
Con le turbolenze finanziarie, è iniziata anche una lotta politica tra i paesi del Nord Europa, considerati virtuosi perché hanno bilanci più solidi, e quelli del Sud Europa, i cui conti sono in condizioni peggiori. A questi è stato quindi richiesto di rispettare i cosiddetti parametri di Maastricht, sanciti dall’omonimo trattato del 1992, ma raramente rispettati da qualcuno finora. Le principali regole che impongono alle finanze pubbliche sono due: una sul deficit e una sul debito.
Il deficit è la differenza tra la uscite e le entrate del bilancio statale. Naturalmente se le uscite superano le entrate, il buco viene ricoperto emettendo nuovo debito. Per questo motivo, nel trattato è stato previsto che esso non possa superare il 3% del Pil. Anche se, in passato, questo tetto non è stato rispettato nemmeno dai paesi ritenuti virtuosi. L’altro parametro riguarda il debito pubblico, che non deve oltrepassare il 60% del Pil, anche se buona parte dei paesi europei supera questa soglia. Recentemente, per applicare questa regola, è stato firmato un altro trattato, il Fiscal Compact, che prevede la riduzione a tappe forzate del debito in eccesso.
Tutte queste regole sono state definite con la convinzione che solo un’economia con i fondamentali solidi e i conti apposto possa essere competitiva nel mondo della globalizzazione e possa aspettarsi una una crescita costante nel lungo periodo.
Gli economisti di scuola keynesiana, dal canto loro, ritengono che il rapporto debito-Pil si possa abbassare soltanto agendo sul denominatore, ossia puntando sulla crescita per far salire il prodotto interno lordo, in modo che il debito in proporzione rappresenti un problema minore.
Se hanno ragione i fautori del rigore o i sostenitori di Keynes, solo il futuro potrà dircelo. Ciò che sappiamo è che la situazione è grave. Nei paesi del Sud Europa, la disoccupazione resta molto alta, l’industria è in declino e le prospettive per il futuro non sono affatto rosee. Solo con coraggiose e nette scelte politiche, potremo uscire dalla palude in cui siamo finiti.