Oggi
è stata una giornata emblematica di quello che sta accadendo in
questi anni di crisi che morde soprattutto le fasce più deboli della
popolazione. Gli stessi strati sociali che oggi sono scesi in piazza
in Spagna, per far sentire la propria voce contro i tagli e
l'austerità del governo Rajoy. Migliaia di indignados hanno sfilato
per il secondo giorno consecutivo nel centro di Madrid e tentato di
raggiungere il Parlamento, con il solito contorno di scontri con le
forze dell'ordine. La stessa scena si è vista in Grecia, dove i due
maggiori sindacati del paese avevano indetto per oggi uno sciopero
generale, trasformatosi in manifestazione condita anche qui da
scontri con la polizia.
Ma
i celerini non sono stati gli unici a rispondere con prepotenza alle
legittime rivendicazioni della piazza. I listini delle borse europee
di oggi sono un bollettino di guerra: Madrid la peggiore con un
-3,92%, Milano si accoda con un -3,29. I giornali strombazzano:
"Bruciati 133 miliardi".
Il
popolo ha alzato la sua flebile voce e gli operatori finanziari hanno
pensato bene di mettere subito mano al manganello delle borse. In
questo "mercoledì nero" non è accaduto nulla di diverso
da quello che sta succedendo da quando è iniziata questa crisi
economica. La finanza e i mercati hanno acquisito un enorme potere e
ora controllano i parlamenti nazionali e l'Unione Europea, per mezzo
dello spread. Il governo distrugge il welfare, abolisce l'articolo 18
e taglia sulla sanità e l'istruzione? Bene, bravo, bis. E lo spread
si abbassa. La gente scende in strada e si ribella? Pollice verso. E
lo spread si alza.
Ma
come è stata possibile questa cessione di sovranità nazionale a
oscuri operatori di borsa? Tutto è iniziato negli anni 80, quando
Reagan negli Usa e la Thatcher in Inghilterra hanno dato il via ad
un'operazione di rimozione delle barriere poste al mercato e alle
libertà dei capitali così faticosamente costruite dopo l'unica
crisi (forse) peggiore di quella attuale, quella del 1929. In questi
decenni la finanza ho operato sottotraccia, nell'ombra, facendo
pressioni sulla politica affinché deregolamentasse sempre più la
legislazione economica e finanziaria. Negli Stati Uniti, questo
disegno è stato messo in pratica sia dai democratici, durante
l'amministrazione Clinton specialmente, sia dai repubblicani. E tutto
il resto del mondo dietro a prendere esempio. Illuso dalle false
promesse della globalizzazione che avrebbe portato più benessere per
tutti. Invece nel 2008 scoppia la crisi dei mutui subprime che, dagli
Stati Uniti, si riversa sull'intero pianeta e, nel Vecchio
Continente, si trasforma nell'attuale crisi dei debiti nazionali.
La
finanza oggi sta prendendo di mira l'Europa perché è l'anello più
debole dell'economia globale. Perché è un sistema pieno di
contraddizioni, una federazione di stati mancata con una banca
centrale impotente e scarsa legittimazione democratica. Nulla si
risolverà se permane l'attuale immobilismo della politica europea.
Due strade possiamo imboccare e dobbiamo farlo il più velocemente
possibile: o si getta alle ortiche il sogno europeo e si torna agli
stati nazionali nel pieno dei loro poteri, anche di battere moneta, o
si costruisce un'Unione Europea che sia guidata da organi eletti e
sia integrata economicamente e politicamente, non tenuta insieme solo
da una moneta comune. Non muoversi significa cadere nel baratro,
accentuando le disuguaglianze e l'instabilità sociale. Da cui, nel
lungo periodo, nemmeno i poteri forti avrebbe da guadagnare.