venerdì 18 maggio 2012

La crisi, un'opportunità per cambiare strada

Nasdaq. Ftse Mib. Default. Pil. Spread! Oggigiorno i media ci bombardano con parole che non hanno alcun significato se non per banchieri e speculatori; ma le nostre vite sono legate con fili invisibili a quei numeri che salgono e scendono. L’operaio, il muratore, il contadino, l’insegnante si mettono le mani nei capelli davanti allo spread che si alza e al Pil che si abbassa.
Con la globalizzazione ci era stato promesso un mondo nuovo, ci era stato assicurato più benessere per tutti, un mondo più equo, la sconfitta della povertà. Poi è arrivata la crisi a sparigliare i giochi; come schede di un domino tutti i paesi occidentali ci sono caduti uno dopo l’altro, sotto il peso dei mercati finanziari crollati su se stessi come castelli di sabbia.
Il dolce sogno della globalizzazione si è infranto nel 2007, quando negli Stati Uniti il sistema dei mutui subprime è precipitato. Nel paese di Ronald Reagan e della deregulation, da anni si elargivano prestiti a soggetti che non potevano vantare alcuna garanzia di restituirli. Le banche e gli istituti di finanziamento scaricavano questi prestiti “spazzatura” sui piccoli investitori, con operazioni al limite della legalità. Ma ad un certo punto il castello di carte non ha potuto fare altro che crollare: alcune banche sono fallite, altre sono state salvate in extremis da copiosi aiuti pubblici. La recessione, però, era già cominciata. E dagli USA aveva raggiunto l’Europa, il Giappone e poi anche i paesi in via di sviluppo.
Dopo qualche anno, mentre si iniziavano a intravedere i primi barlumi della ripresa, nel Vecchio Continente è scoppiata la crisi dei debiti degli stati, che imperversa tutt’ora sull’Eurozona. La Grecia è stato il primo paese a vedere i tassi di interesse sul proprio debito pubblico arrivare alle stelle, avviandosi sulla strada del fallimento. La troika (UE, BCE e FMI) ha concesso aiuti economici miliardari alla finanza ellenica, ma anche a quelle di Irlanda e Portogallo. All’appello dei Piigs (“maiali” in inglese), mancano l’Italia e la Spagna, oggi sorvegliati speciali.
Fin qui la cronaca economica degli ultimi mesi, ma gli effetti più pesanti della crisi si sono abbattuti sugli strati più deboli delle popolazioni coinvolte. Sono aumentate le disuguaglianze, calati gli stipendi, la disoccupazione ha raggiunto livelli astronomici (in Italia quella giovanile è al 31 per cento).
Questi problemi contingenti si aggiungono a quelli strutturali: la sperequazione fra ricchi e poveri, sia all’interno delle nazioni che fra paesi diversi, l’esasperazione dei sentimenti che fa crescere l’odio nei confronti del diverso, il sovrasfruttamento e l’inquinamento dell’ambiente.
Dinnanzi a tutto ciò, oggi si sta sempre più diffondendo la proposta di un radicale ripensamento dello stile di vita del pianeta, partendo dall’attuale sistema economico. Alcune soluzioni possono sembrare utopistiche ma non sapremo mai se possono funzionare se non cominciamo da subito a dirigere la nostra rotta verso di esse.
Dal punto di vista economico, urge seppellire definitivamente il consumismo sfrenato che ha reso lo spreco un’abitudine nefasta ed è stato attuato grazie ai bassi costi di produzione che si traducono in salari da fame e diritti ridotti all’osso per i lavoratori dei paesi in via di sviluppo. Ridurre dunque la produzione, eliminando i beni inutili e aumentando la qualità di quelli necessari.
Abbassare il Pil, per quanto possa sembrare una follia agli economisti mainstream, è l’unico modo per tornare a vivere come persone e non più come automi del “produrre, consumare, crepare”. Del resto l’odierno regime energetico occidentale, che ha consentito questo ritmo produttivo, è basato su fonti fossili – petrolio, carbone, uranio – che non dureranno per sempre. Occorre pertanto ridurre gli sprechi energetici, migliorando l’efficienza delle reti di distribuzione e iniziando a costruire gli edifici con tecnologie di questo secolo, e puntare sulle fonti rinnovabili (solare, eolico, geotermico e biomasse). Dobbiamo riservare un’attenzione particolare all’ambiente, che l’inquinamento sta distruggendo con la crescita della temperatura globale. Si prospettano due gradi di aumento che se davvero si realizzeranno daranno il via a una serie di catastrofi: l’innalzamento del livello del mare, una maggiore frequenza dei fenomeni climatici estremi (di cui l’Italia negli ultimi mesi ha avuto degli assaggi), una desertificazione più spinta.
Dato ciò, è fondamentale una presa di coscienza globale immediata, poiché l’attuale sistema economico ci può portare solo al collasso. Dobbiamo rimettere al centro di tutto la persona e suoi reali bisogni.