martedì 30 settembre 2014

L'austerità


Con alcuni amici, ho costituito un gruppo denominato Muovere Le Idee. Il nostro intento è di spiegare la politica attraverso video brevi e leggeri da diffondere sul web.
Ecco la versione originale, scritta da me, del copione del settimo video.

Negli scorsi video, abbiamo parlato della crisi economica mondiale del 2008 e della sua prosecuzione nella sola eurozona negli ultimi anni. Nell’area della moneta unica, infatti, la crisi è ancora in corso, molti paesi faticano a riprendersi, la disoccupazione resta alta, la produzione bassa. La ricetta adottata per uscire dalla recessione è quella del rigore e dell’austerità. Vediamo di cosa si tratta.

Le crisi non sono un evento raro nella storia economica. Nell’ultimo secolo ce ne sono state diverse, a partire dalla grande depressione del 1929, per uscire dalla quale il presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt varò un ambizioso piano di riforme detto “New Deal” (“nuovo corso”), che cambiò radicalmente il rapporto dello stato con l’economia. Se prima l’intervento dello stato nel sistema economico era ridotto al lumicino, ora esso ricopriva un ruolo di primo piano. Infatti, Roosevelt diede il via ad una serie di investimenti pubblici nelle infrastrutture e a diverse riforme sociali, impegnando enormi quantità di fondi pubblici, al fine di far ripartire il sistema dell’economia americana. Il “New Deal” era ispirato dalle teorie di un celebre economista, John Maynard Keynes, il quale sosteneva che, in periodi di crisi, lo stato deve aumentare la propria spesa, per sostituirsi alla diminuita domanda di beni da parte dei privati. E, per farlo, può anche accendere nuovi debiti, a patto che li ricopra in periodi di espansione economica.

In questi anni, nell’eurozona, si sta facendo esattamente l’opposto. A fronte di una delle peggiori crisi di sempre, l’Unione sta chiedendo agli stati particolarmente in difficoltà di risanare i loro bilanci, tagliando le spese. Accade questo perché la speculazione finanziaria ha preso di mira i titoli del debito di alcuni stati, riassunti dall’acronimo Piigs (“maiali”, in inglese): Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna. Questi paesi hanno corso il rischio di non riuscire più a ripagare il loro debito, perché i mercati hanno cominciato a pretendere tassi di rendimento molto alti. Anche a causa del modo in cui è strutturata l’unione monetaria e ai meccanismi dell’euro, di cui abbiamo parlato in un altro video.

Con le turbolenze finanziarie, è iniziata anche una lotta politica tra i paesi del Nord Europa, considerati virtuosi perché hanno bilanci più solidi, e quelli del Sud Europa, i cui conti sono in condizioni peggiori. A questi è stato quindi richiesto di rispettare i cosiddetti parametri di Maastricht, sanciti dall’omonimo trattato del 1992, ma raramente rispettati da qualcuno finora. Le principali regole che impongono alle finanze pubbliche sono due: una sul deficit e una sul debito.
Il deficit è la differenza tra la uscite e le entrate del bilancio statale. Naturalmente se le uscite superano le entrate, il buco viene ricoperto emettendo nuovo debito. Per questo motivo, nel trattato è stato previsto che esso non possa superare il 3% del Pil. Anche se, in passato, questo tetto non è stato rispettato nemmeno dai paesi ritenuti virtuosi. L’altro parametro riguarda il debito pubblico, che non deve oltrepassare il 60% del Pil, anche se buona parte dei paesi europei supera questa soglia. Recentemente, per applicare questa regola, è stato firmato un altro trattato, il Fiscal Compact, che prevede la riduzione a tappe forzate del debito in eccesso.

Tutte queste regole sono state definite con la convinzione che solo un’economia con i fondamentali solidi e i conti apposto possa essere competitiva nel mondo della globalizzazione e possa aspettarsi una  una crescita costante nel lungo periodo.
Gli economisti di scuola keynesiana, dal canto loro, ritengono che il rapporto debito-Pil si possa abbassare soltanto agendo sul denominatore, ossia puntando sulla crescita per far salire il prodotto interno lordo, in modo che il debito in proporzione rappresenti un problema minore.
Se hanno ragione i fautori del rigore o i sostenitori di Keynes, solo il futuro potrà dircelo. Ciò che sappiamo è che la situazione è grave. Nei paesi del Sud Europa, la disoccupazione resta molto alta, l’industria è in declino e le prospettive per il futuro non sono affatto rosee. Solo con coraggiose e nette scelte politiche, potremo uscire dalla palude in cui siamo finiti.

martedì 16 settembre 2014

La crisi dell'Eurozona



Con alcuni amici, ho costituito un gruppo denominato Muovere Le Idee. Il nostro intento è di spiegare la politica attraverso video brevi e leggeri da diffondere sul web.
Ecco la versione originale, scritta da me, del copione del sesto video.

Nell’ultimo video abbiamo parlato della crisi economica del 2008. Iniziata come crisi finanziaria, ha presto colpito l’economia reale, causando una recessione in quasi tutti i paesi del mondo e portando la disoccupazione a livelli astronomici. Già dal 2010-2011, però, le principali economie del mondo stanno assistendo ad una ripresa. Chi è ancora alle prese con un’economia bloccata è l’eurozona, l’insieme dei paesi che hanno adottato l’euro.

Presto si è capito che la zona euro non poteva reagire in modo compatto alla crisi. L’alto debito di alcuni paesi cominciò a sembrare privo di garanzie di essere ripagato, dato che quegli stati non avevano più una sovranità monetaria e l’eurozona non era abbastanza integrata per coprire i paesi in difficoltà.
Un gruppo di stati europei, che avevano attraversato i primi anni di crisi senza forti sconvolgimenti, videro i titoli del loro debito pubblico essere scossi dalla speculazione e dai timori che essi non potessero più essere rimborsati. Lo spread, cioè il differenziale tra il rendimento di quei titoli e quelli dello stato più virtuoso, la Germania, continuava a crescere, rendendo più costoso per questi stati fare nuovi debiti. L'elenco di questi paesi è riassunto dall'acronimo “Piigs” (“maiali”, in inglese): Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna.

Il primo di loro a finire sotto il giogo della speculazione è stato la Grecia. Nel 2009, il governo appena eletto fu costretto a rivedere al rialzo la stima del deficit del bilancio statale, triplicandola, poiché il precedente esecutivo aveva falsificato i conti pubblici. Sui mercati si scatenò il panico. Le agenzie di rating, il cui compito è di fornire giudizi sui titoli, declassarono più volte quelli ellenici, fino ad etichettarli come spazzatura. Per scongiurare il rischio insolvenza, che si faceva sempre più reale, nel maggio 2010 fu varato un piano di aiuti da 110 miliardi di euro da parte della cosiddetta “troika”, l’insieme di Unione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale. In cambio, la Grecia avrebbe dovuto avviare un piano di forti tagli alla spesa pubblica allo scopo di mettere in sicurezza il bilancio dello stato. Ma non bastò: negli anni successivi furono necessarie diverse ristrutturazioni del debito e un nuovo piano di salvataggio da 130 miliardi. Intanto, poco prima del G20 del 2011, il premier Papandreou aveva annunciato un referendum sull'accordo con la troika ma, dopo l'incontro dei leader mondiali, egli si dimise, lasciando il posto al governo tecnico di Lucas Papademos, ex membro della Bce.

Insieme al primo piano d'aiuti per la Grecia, la troika decise di costituire l'Efsf, un fondo per i paesi dell'eurozona in difficoltà. Mai scelta fu più saggia. Infatti, il contagio raggiunse altri paesi. Dopo essere stati fatti oggetto dell'attenzione della speculazione internazionale, sia l'Irlanda che il Portogallo ebbero bisogno di attingere a quei fondi, per 85 e 80 miliardi di euro rispettivamente. Anche Spagna e Italia sono finite nel mirino dei mercati finanziari. Entrambi i paesi videro i loro spread schizzare alle stelle. I loro governi si trovarono costretti a dimettersi nel novembre 2011. In Spagna si decise di andare ad elezioni anticipate, invece in Italia nacque il governo tecnico di Mario Monti, ex commissario europeo.

Se in un primo momento lo spread sembrò scendere, tra la primavera e l’estate del 2012, riprese la sua salita, segnalando crescenti timori dei mercati sulla tenuta delle economie dell’eurozona. A luglio, il presidente Mario Draghi annunciò che la Bce avrebbe fatto qualsiasi cosa necessaria per preservare la moneta unica. Questa dichiarazione sancì un principio già affermato dai fatti: la Banca Centrale Europea aveva messo in campo diverse misure non convenzionali in difesa dell’euro, dall’acquisto dei titoli degli stati sul mercato secondario per prolungati periodi di tempo, che fece calare lo spread, al drastico ribassamento dei tassi di interesse che ha immesso nel mercato molta liquidità, nella speranza che potesse favorire i prestiti alle imprese e incentivare gli investimenti. Queste misure insieme alla trasformazione del fondo salva-stati in un meccanismo permanente hanno a poco a poco ridotto la pressione speculativa sull’eurozona.

Nonostante la turbolenza finanziaria sull’area dell’euro si sia dissolta, le diverse economie fanno ancora molta fatica a riprendersi, anzi la recessione non è ancora terminata. Nel prossimo video, analizzeremo la ricetta adottata nel Vecchio Continente per voltare pagina, cioè la cosiddetta austerità.

martedì 2 settembre 2014

La crisi economica del 2008


Con alcuni amici, ho costituito un gruppo denominato Muovere Le Idee. Il nostro intento è di spiegare la politica attraverso video brevi e leggeri da diffondere sul web.
Ecco la versione originale, scritta da me, del copione del quinto video.

Da qualche anno, parole come crisi, disoccupazione, spread e default sono entrate nel vocabolario di tutti i giorni. Tutti noi conosciamo almeno qualcuno che ha perso il lavoro o ne sta cercando uno invano. La generazione che rischia di essere colpita di più è quella dei giovani: quasi uno su due è alla ricerca di un’occupazione. Il futuro sembra più che mai tetro.
Cerchiamo allora di capire come è nata questa crisi, a cosa è dovuta e cosa è stato fatto per risollevare le sorti della nostra economia.

Tutte le crisi economiche iniziano con lo scoppio di una bolla speculativa. Infatti, a volte, capita che i prezzi di un bene comincino a salire costantemente, alimentati dall’aspettativa che salgano ancora, e raggiungano livelli superiori al valore reale di quel bene. Poi all’improvviso ci si accorge che è tutta aria fritta e il valore del bene precipita di colpo. Si dice così che la bolla è “scoppiata”. Nel nostro caso, nel 2007 negli Stati Uniti, è la bolla immobiliare a deflagrare.

Il mondo usciva da un ventennio di rigogliosa crescita economica. I soldi giravano facilmente, grazie ai ridotti tassi di interesse. Inoltre, da tempo gli stati stavano portando avanti un processo di deregulation: con l’idea che troppe regole fossero nocive al sistema finanziario, molte furono cancellate, anche quelle scritte dopo le precedenti crisi. I diversi governi allentarono le briglie alla finanza che iniziò a inventare strumenti speculativi sempre più nuovi e complessi, come i derivati. In questi titoli tossici, venivano incorporati i mutui immobiliari che le banche concedevano a destra e a manca, anche a soggetti che non si potevano permettere di ripagarli. Titoli che venivano poi immessi sul mercato.

Questo schema dei cosiddetti mutui subprime resse fintanto che le banche centrali tenevano basso il costo del denaro ma, quando i rubinetti sono stati chiusi, il sistema è saltato. I prezzi delle case sono precipitati. Com’era prevedibile, molti non sono più riusciti a ripagare i loro mutui, determinando un’ondata di pignoramenti e grossi ammanchi nei bilanci delle banche. Un terremoto ha quindi travolto buona parte degli istituti finanziari, non solo quelli che avevano in pancia questi mutui, ma anche gli altri. Tutte le organizzazioni finanziarie hanno cominciato a chiedersi quanti titoli tossici avessero le altre nei loro bilanci e, non fidandosi più, hanno smesso di prestarsi soldi a vicenda.  Le arterie del credito si sono bloccate. Una crisi si allarga proprio quando la fiducia sui mercati, che è il bene più prezioso, viene meno.

Molti istituti hanno dichiarato bancarotta, come il colosso Lehman Brothers, il cui fallimento è il più grande della storia americana. Altri sono stati nazionalizzati, accorpati o messi in sicurezza grazie all’intervento pubblico. Il piano di salvataggio varato dall’amministrazione Bush ammontava a 770 miliardi di dollari, poi decuplicati negli anni. Anche le banche europee sono state travolte, buona parte dei paesi del Vecchio Continente hanno avviato delle nazionalizzazioni, specie nel Regno Unito, in Francia e in Germania. I diversi governi hanno erogato aiuti per 1.240 miliardi di euro.

Ma la crisi non è rimasta circoscritta al solo settore finanziario, ben presto si è allargata all’economia reale. Stop degli investimenti, calo della produzione, aumento della disoccupazione, arresto dei consumi: questi sono solo alcuni degli effetti della recessione che ha colpito la maggior parte dei paesi del mondo tra il 2008 e il 2009, la peggiore crisi economica dopo quella del ‘29. Nel biennio successivo, 2010-2011, si sono intravisti i primi segnali della ripresa, in realtà più nelle economie emergenti che in quelle avanzate. Segnali che si sono però accentuati nel 2012 in tutti i paesi colpiti dalla crisi, meno che quelli dell'eurozona. Nel prossimo video parleremo proprio della prosecuzione della crisi in alcuni dei paesi che hanno adottato l’euro.