lunedì 19 dicembre 2016

Cos'è la sinistra, secondo Barca

Dare un significato alle cose di cui si parla è sempre il primo passo da fare per avere un po' di chiarezza e discutere in modo proficuo. Per questo sono sempre stato interessato a dare un significato alle etichette di destra e sinistra usate in politica. Oggi mi sono imbattuto in questa definizione di sinistra data da Fabrizio Barca in un articolo pubblicato dall'Huffington Post. La riporto perché non passi in sordina e come contributo al dibattito, senza pensare che possa essere la definizione definitiva, dato che dubito possa esistere una definizione definitiva.

A chi mi riferisco con "sinistra"? A tutti coloro che ritengono l'articolo 3 il punto più alto della nostra Costituzione, laddove stabilisce che è "compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese". In queste parole, eterodosse e moderne, punto di incontro delle culture liberal-azionista, social-comunista e cristiano-sociale che ancora innervano il paese, c'è un'indicazione secca sulla missione principale non solo dello Stato ma della Repubblica intera - del privato, del sociale, del pubblico. E' la missione dell'inclusione o dell'avanzamento sociale. Compiere ogni sforzo possibile per mettere cittadini e lavoratori nella condizione di vivere la vita che è nello loro corde vivere. Proprio ciò che moltissimi sentono mancare.
A questa fondamentale discriminante potrei aggiungere che essere di sinistra vuol dire anche essere convinti che il capitalismo produce innovazione, avanzamento sociale e persino tutela dell'ecosistema, solo se esso viene continuamente incalzato con la necessaria ruvidezza da cittadini e lavoratori organizzati: la risoluzione delle separazioni del capitalismo (fra lavoro e capitale, controllo e proprietà del capitale, persona e consumatore) a favore dell'avanzamento sociale richiede conflitto. Altri preferiranno una diversa declinazione. Qui basta il riferimento all'articolo 3. Basta per riconoscere che di sinistre ne esistono tante, organizzate (all'interno del PD e di altri corpi intermedi, tradizionali e nuovi), meno organizzate o del tutto informali (all'interno di forme nuove di militanza, di cittadinanza attiva, di antagonismo).

venerdì 9 dicembre 2016

Post Referendum: cosa succede ora



Se non siete appena tornati da un’isola deserta, già lo sapete: il referendum di domenica 4 dicembre ha respinto a larga maggioranza la riforma della costituzione del governo Renzi. Il “no” ha vinto con quasi il 60% dei consensi contro il 40% del “sì”. Anche l’affluenza è stata più alta delle aspettative: il 65% degli italiani si è recato alle urne, il 68% se escludiamo il voto all’estero. Segno che questo referendum è stato molto sentito.
La conseguenza più immediata del voto sono state le dimissioni di Matteo Renzi, annunciate nella notte dello spoglio e formalizzate la sera di mercoledì 7 dicembre, dopo l’approvazione della legge di bilancio. Si è aperta dunque la crisi di governo. Le dimissioni del presidente del consiglio implicano infatti la fine dell’intero esecutivo. Le decisioni sul da farsi spettano ora al presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Quindi, cosa può succedere adesso? Abbiamo davanti tre scenari: le elezioni anticipate, un altro governo guidato da Renzi o un nuovo governo guidato da altri.
La seconda ipotesi rimane molto improbabile: è da mesi che Renzi minaccia le dimissioni in caso di sconfitta al referendum. Quindi è difficile che accetti di restare a palazzo Chigi ed è difficile che accetti di tornarci senza essere passato prima da nuove elezioni.
La prima ipotesi è quella auspicata da molti ma, eccetto la Lega, tutti gli altri chiedono che si voti soltanto dopo aver modificato la legge elettorale. Ma per farlo, potrebbe essere necessario un nuovo governo e si arriva quindi alla terza ipotesi.

Per capire questo punto però, dobbiamo fare un passo indietro. La legge elettorale è il meccanismo con cui i voti vengono tramutati in seggi parlamentari. Oggi la Camera e il Senato si ritrovano, a seguito di varie vicissitudini, con due leggi molto diverse. E questo, in caso di nuove elezioni, potrebbe rappresentare un problema serio perché ci ritroveremmo con un parlamento in cui non si riesce a trovare una maggioranza in entrambe le camere che voti la fiducia al governo.
Vediamo cosa succederebbe se andassimo a votare in questo momento. Secondo i sondaggi, lo spettro politico è diviso in tre poli, tutti intorno al 30% dei consensi: il Partito Democratico, il Movimento 5 Stelle e un polo di centrodestra suddiviso tra Forza Italia e Lega. Questo status quo, alla Camera verrebbe tradotto in seggi dall’Italicum, in base al quale il partito che arriva primo (in un unico turno o con un ballottaggio) conquista il 55% dei seggi. Il resto va a tutti i partiti di opposizione, a patto che abbiano superato la soglia del 3% dei voti.
Al Senato, è invece in vigore il cosiddetto Consultellum, ossia la legge con cui si è votato alle ultime elezioni politiche così come è stata modificata dalla corte costituzionale. In base a questo sistema elettorale, la percentuale di seggi che ogni partito ottiene è esattamente la percentuale di voti presi alle elezioni, a patto che abbia superato la soglia di sbarramento dell’8%. L’effetto combinato di queste due leggi elettorali e dell’attuale distribuzione del consenso fra i partiti sarebbe quello di dare alla forza politica che prende più voti la maggioranza alla camera, mentre dovrebbe cercarsi degli alleati di governo al senato. Il risultato è un rischio paralisi: se vincesse il Movimento 5 Stelle, sappiamo che non vuole fare alleanze con nessuno; ma anche se fosse il Partito Democratico ad uscire vincente dalle urne, dovrebbe allearsi con Forza Italia e con un altro partito, ma nessun altro sarebbe disposto ad entrare in una coalizione simile stando alle posizioni attuali. Lo stesso vale se dovesse vincere un’eventuale coalizione di centrodestra.
Questo ci fa capire perché Mattarella, come è emerso nelle ultime ore, non è disposto a sciogliere le camere con l’attuale sistema elettorale. Tanto più che la corte costituzionale si esprimerà il prossimo 24 gennaio sull’Italicum, la legge vigente alla Camera, e potrebbe apportarvi delle modifiche consistenti.

Dunque, cosa succederà adesso? Nelle prossime ore, il presidente Mattarella terrà una serie di consultazioni con i gruppi parlamentari per verificare la loro disponibilità a dare vita ad un nuovo governo. Come dicevamo, l’esito più probabile è la nascita di un nuovo esecutivo senza Renzi, ma sostenuto dalla sua stessa maggioranza, quindi dal Pd, dal Nuovo Centro Destra di Alfano e dai gruppi centristi come l’Udc di Casini, oltre che dall’incognita di Ala di Verdini. 
Chi potrebbe guidare il nuovo governo? Sono 5 i nomi che passano di bocca in bocca in questi momenti: quello di Piero Grasso, l’attuale presidente del senato; quello di Pier Carlo Padoan, il ministro dell’economia uscente; quello di Dario Franceschini, ministro della cultura; quello di Paolo Gentiloni, ministro degli esteri e quello di Graziano Delrio, ministro delle infrastrutture.

Sui compiti e sulla durata del nuovo esecutivo, sarà tutto da vedere. Di sicuro, la sua priorità sarà quella di dare al paese una nuova legge elettorale che garantisca un minimo di stabilità dopo le prossime elezioni politiche. Sulla sua durata, va considerato che la prossima primavera vedrà due appuntamenti importanti che richiedono un governo nel pieno dei suoi poteri: a fine marzo ci saranno le celebrazioni del Trattato di Roma che ha istituito la Comunità Europea e a fine maggio si terrà il G7 a Taormina. Inoltre, i parlamentari alla prima legislatura potrebbero essere restii a consentire elezioni anticipate prima della metà di settembre, quando acquisiranno il diritto alla pensione. Quindi le prossime elezioni si terranno con buona probabilità nell’autunno 2017 o all’inizio del 2018.

venerdì 2 dicembre 2016

Solo un'altra cosa sul Referendum...

Vorrei aggiungere solo un’altra cosa al dibattito nel merito della riforma costituzione su cui voteremo domenica, in particolare sul bicameralismo perfetto. Ora, personalmente non ho preferenze a riguardo di un bicameralismo paritario piuttosto che differenziato, per me tutto dipende da come viene pensato e strutturato. Però, se proprio uno vuole risolvere il problema della navetta - o del ping pong, com’è chiamato ora - in un sistema come quello italiano attuale, sarebbe bastato guardare agli altri due piccoli esempi di bicamerismo perfetto nel mondo: gli Stati Uniti e l’Unione Europea. In entrambi i casi, le due camere (per quanto riguarda l’Ue, mi riferisco al Parlamento e al Consiglio, che possono tranquillamente venire considerati tali) devono approvare un testo nella medesima forma perché diventi legge. Per evitare di rimbalzarselo in continuazione, se il primo tentativo non va in porto, i rappresentanti delle due camere si siedono ad un tavolo e trovano una mediazione che possa andare bene a tutti. In Europa, si chiama “Comitato di Conciliazione”. A quanto pare, per risolvere i problemi del bicameralismo perfetto, non serviva creare una dozzina di nuovi procedimenti legislativi, con oscuri elenchi di competenze ed eccezioni. Ma si sa, noi italiani dobbiamo sempre complicarci la vita.

Cosa voto al Referendum

Domenica si vota il referendum sulla riforma della Costituzione. Con Muovere Le Idee abbiamo cercato di fornire tutti gli strumenti per informarsi, da un video di 15 minuti ad un dibattito di un’ora e mezza, insieme ad un sacco di link per approfondire. Si trova tutto qui.
Mancano due giorni, quindi è ora che anch'io vi dia la mia opinione non richiesta a riguardo, come sta già facendo tutta la vostra bacheca di Facebook.
Se state cercando argomenti forti e toni urlati, avete sbagliato indirizzo. Non parteciperò a questa battaglia di fango e slogan a cui stiamo assistendo da molti mesi ormai. A farmi scaldare non sarà certo una riforma né carne né pesce come questa.
Io la riforma l’ho letta. E, pur essendo ignorante su molte cose, la Costituzione e le istituzioni sono argomenti su cui sono abbastanza ferrato. Proprio per questo mi sento di dire la mia.
A mio avviso, l’obiettivo della riforma di semplificare e razionalizzare resterà una mera speranza. Se anche uno può condividere queste finalità, le soluzioni trovate sono assolutamente sbagliate. Nel migliore dei casi, resterà tutto complicato e inefficiente come è adesso, semplicemente con procedure diverse. Nel peggiore dei casi, avremo stato e regioni in perenne conflitto (di nuovo, come dopo la riforma del 2001) e un parlamento paralizzato, il che favorirà un governo forte capace di fare il bello e il cattivo tempo. Una riforma che, con il presunto obiettivo di semplificare e velocizzare, ridurrebbe gli spazi di confronto. Non a caso in quei pochi punti in cui sembra aprire ad una maggiore partecipazione dei cittadini alla politica, in realtà si rimanda tutto a leggi successive, che chissà se arriveranno mai.
Con la logica del cambiamento fine a se stesso e della velocità, non si va da nessuna parte. In un paese messo in ginocchio dalla criminalità organizzata, dalla corruzione, dall’evasione fiscale ce ne sono di cambiamenti da fare. Altro che la costituzione. I sostenitori di questa riforma credono che per far funzionare le istituzioni serva cambiarle, quando invece il problema è nella qualità della classe politica che le occupa. Qualità che è sempre più scarsa.
Per questi motivi, voterò NO.
(Non ho parlato del merito perché sarebbe un discorso troppo lungo, se però qualcuno vuole parlarne resto a disposizione).