Il
12 novembre 2011 è una data storica. Le dimissioni di Berlusconi
hanno segnato la fine non solo di un uomo che in qualche modo ha
monopolizzato l'ultimo ventennio ma di un intero modo di concepire la
politica, il berlusconismo. Decretarne oggi la fine può sembrare
prematuro ma credo che l'arrivo del governo tecnico e della grande
coalizione pd-pdl-terzopolo abbia provocato un grande sconvolgimento
nell'agone politico e questo cambiamento in qualche modo va
registrato.
I
maggiori problemi stanno però nascendo all'interno della vecchia
opposizione. Finché c'era il grande nemico, il despota, il dittatore
da combattere le truppe della sinistra erano compatte. Certo, qualche
screzio era sempre presente, ma tutto sommato, le posizioni di
principio erano le stesse, gli argomenti, i modi con cui veniva
attaccato l'avversario erano gli stessi. Negli ultimi mesi, invece,
il governo Monti ha in parte normalizzato le tradizionali divisioni,
costringendo le forze ricollegabili alla sinistra a riportare a galla
la propria identità.
Questo
è quello che sta accadendo anche all'interno della redazione di
Repubblica dove, prima il fondatore Eugenio Scalfari e poi il
direttore Ezio Mauro, davanti al conflitto di attribuzione sollevato
dal Quirinale nei confronti della procura di Palermo per
l'intercettazione di alcune telefonate del capo dello stato, hanno
rinnegato anni di lotta antiberlusconiana e rimesso in discussione
certe prese di posizione del passato solo perché la persona
coinvolta nei nuovi scandali è il presidente della Repubblica e non
quello del consiglio. Insomma, due pesi, due misure. Ma c'è di più.
I maggiorenti del quotidiano di via Colombo sembrano avvertire la
necessità di sentirsi di nuovo di sinistra, spiegando a tutti gli
altri cosa rappresenta questo termine.
Scalfari,
nei suoi consueti editoriali domenicali, difende a spada tratta
l'operato del Colle. Lo fa citando leggi, interpretando commi. Subito
le controparti (il costituzionalista Zagrebelsky sullo stesso
quotidiano, Marco Travaglio sul Fatto)
gli fanno notare gli errori marchiani che compie. Ma lui, incurante,
continua sulla sua strada. Per carità, non è l'unico a prendere le
parti di Napolitano. Tutti loro in realtà lo fanno perché credono
che la tutela dell'"istituzione più importante" in questo
momento, quella "che ha tolto l'Italia del baratro", quella
che ha dato vita al governo tecnico, sia più importante della verità
in sé. Dire che il conflitto di attribuzione sollevato dal Colle è
sbagliato, secondo loro, contribuirebbe a mettere in pericolo la
tenuta delle istituzioni, di cui Napolitano è il perno.
Sempre
su Repubblica
il direttore Ezio Mauro, dal canto suo, sceglie una posizione
intermedia sul conflitto di attribuzione, sostenendo comunque la
necessità di contrastare la «manovra contro il Quirinale», «uno
dei pochi punti fermi della nostra democrazia». Ma Mauro non si
ferma qui e accusa coloro che criticano il Quirinale di essere di
destra, nei loro «linguaggi, comportamenti e pulsioni». Arriva pure
a fare una lista della spesa dei valori appartenenti alla destra:
«zero spirito repubblicano, senso istituzionale sottozero (come se
lo Stato fosse nemico), totale insensibilità ai temi del lavoro,
della disuguaglianza e dell'emancipazione».
Dai pareri di queste due voci
del giornalismo italiano possiamo prendere spunto per chiederci, come
fa Mauro, cos'è veramente la destra e cos'è veramente la sinistra.
Prendiamo, per esempio, il
convincimento di Scalfari soprattutto, ma anche di Mauro, che le
istituzioni italiane siano in grave pericolo e pertanto occorra
proteggere il loro «perno», cioè il presidente della Repubblica
Napolitano. In questo modo, pongono la necessità di tutelare
l'istituzione del Colle sopra l'uguaglianza di tutti i cittadini di
fronte alla legge e quindi sopra lo stesso valore di giustizia. A
questi signori vorrei dire che venire meno ai diritti e alla loro
applicazione per un supremo senso dello stato non è un atteggiamento
di una sinistra responsabile, ma traccia un preoccupante parallelo
con quello che accadeva nella Russia di Stalin dove, per consentire
il pieno sviluppo dello stato comunista, si calpestavano i più
basilari diritti umani. Preferire l'integrità delle istituzioni alla
certezza del diritto è una condotta dell'estrema sinistra, come
preferire l'ordine interno assoluto all'applicazione dei diritti è
di estrema destra.
Ezio Mauro, poi, oltre a fare
un elenco dei valori della destra, bolla certi linguaggi come "di
destra" (subito scimmiottato anche dal segretario pd Bersani con
Grillo). E questo ci spinge a chiederci: cosa sono in definitiva
destra e sinistra?
In base all'approccio che una
forza politica ha con la storia e con i cambiamenti, la destra è
quella conservatrice che preferisce rimanere nella tradizione mentre
la sinistra è quella aperta alle novità, al progresso. E questo può
essere un elemento di distinzione, ma poi vai a capire cosa è
veramente progresso e cosa è veramente tradizione. E inoltre, il
buon senso ci dice che l'ideale è saper soppesare le tradizioni
buone e quelle cattive, come le innovazioni buone e quelle cattive.
In base alle loro idee rispetto
al sistema economico, la destra è quella che spinge verso un minore
intervento dello stato (quindi verso il liberismo), la sinistra
invece preme per un maggiore ruolo pubblico (il cui estremo è il
socialismo). Anche se questa distinzione in Italia vale quello che
vale, vista la trasversalità delle teorie neoliberiste.
Una differenza sostenuta anche
da Mauro nel suo articolo di fondo è il rapporto con la giustizia.
Nei paesi normali, infatti, è la destra a chiedere condanne più
severe e pene più certe, mentre la sinistra è più incline ad
ascoltare le ragioni dei reclusi. In Italia è vero il contrario
visto che fra l'ala destra del parlamento (prevalentemente, ma non
solo) e le aule dei tribunali, si vedono gli stessi volti. E poi in
realtà, anche la sinistra vuole una giustizia più efficace, ma se
la destra la chiede soltanto per i piccoli criminali, la sinistra si
aspetta che gli stessi principi valgano anche per i colletti bianchi
della politica e dell'economia.
Qualcuno dice che la sinistra è
per l'uguaglianza e la destra per la libertà. Ma, la storia lo
dimostra, l'una è impossibile senza l'altra.
Secondo me, la diversità
definitiva tra destra e sinistra sta nella loro idea di società,
nella concezione della comunità, delle persone nel loro vivere
insieme. È di destra pensare che le altre persone siano avversari,
che per farcela occorra farcela da soli, lottando contro gli altri. È
di destra lasciare che sia la legge del più forte a dettare come
vanno le cose. È di sinistra, invece, puntare sulla solidarietà fra
gli individui, sul "farcela insieme", sullo stare uniti e
non lasciare indietro nessuno. Questo secondo me distingue la destra
dalla sinistra. Ed è per questo che io sono di sinistra. Per quello
che vale.
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