Articolo originariamente pubblicato su Ctrl Magazine.
Negli
anni, nel parlamento italiano si è visto comparire di tutto: cappi,
salumi, scatolette di tonno... Ma anche nel Congresso americano non
si scherza: lo scorso febbraio, il senatore repubblicano Jim Inhofe
ha lanciato una palla di neve in mezzo all'aula. Un nuovo strumento
di battaglia politica contro i democratici? Nossignore. Inhofe voleva
soltanto dimostrare a modo suo che, siccome fuori faceva freddo, il
surriscaldamento globale è solo una frottola degli ambientalisti.
Indirettamente, gli ha risposto l'Ipcc, il gruppo di scienziati di
tutto il mondo riuniti dall'Onu: il surriscaldamento globale esiste
ed è provocato al 95% dalle attività umane. E c'è di più: se non
facciamo qualcosa subito per mantenere l'aumento della temperatura
del pianeta sotto i due gradi, i cambiamenti saranno irreversibili e
l'ecosistema terrestre conoscerà gravi cataclismi.
IL
PROBLEMA
L'effetto
serra. Il surriscaldamento
globale è provocato da un fenomeno atmosferico detto "effetto
serra". Gli studi hanno evidenziato come la concentrazione di
alcuni dei gas di cui è composta la nostra atmosfera stia aumentando
pericolosamente. L'incremento di questo strato gassoso lascia
penetrare il calore solare, ma ne ostacola sempre più la
fuoriuscita, alzando la temperatura sulla Terra, che viene ad
assomigliare ad una serra, appunto.
I
gas serra.
I
tre principali gas responsabili di tutto ciò sono il biossido di
carbonio (meglio conosciuto come anidride carbonica, CO2),
il metano (CH4)
e il protossido di azoto (N2O).
Dall'inizio della rivoluzione industriale
ad
oggi,
la loro concentrazione nell'atmosfera è aumentata in misura abnorme,
rispettivamente del 40%, 150% e 20%. Il
metano in eccesso proviene dall'estensione dell'allevamento animale e
delle colture a sommersione (come il riso),
mentre la maggiore presenza
di anidride carbonica è
dovuta
alla
deforestazione per un quarto e alle
nuove emissioni per il resto. Emissioni che provengono per il 35% dal
settore energetico, per il 24% dalla lavorazione della terra, per il
21% dall'industria, per il 14% dai trasporti e per il 6,4% dalle
attività edili.
Non
è la prima volta nella storia terrestre che la concentrazione di
CO2
nell'atmosfera varia. Il progetto europeo Epica, attraverso dei
carotaggi nel ghiaccio nella calotta orientale dell'Antartide, ha
potuto osservare l'andamento della presenza di anidride carbonica
negli ultimi 820 mila anni e ha scoperto come essa si modifica
periodicamente ma, fino alla rivoluzione industriale, è rimasta
sempre al di sotto delle 300 ppm (parti per milione). A partire dalla
seconda metà del XIX secolo, però, essa
è salita
rapidamente fino alle 402 ppm del 2014. Ben al di sopra di quella che
gli scienziati indicano come la soglia di sicurezza, che è intorno
alle 350 ppm.
L'aumento
della temperatura.
Questo
boom di gas serra nell'atmosfera non è rimasto senza conseguenze. Il
termometro della Terra ha già cominciato a salire. Dal 1880, anno in
cui sono cominciate le rilevazioni, la temperatura della superficie
terrestre è aumentata di 0,8 gradi Celsius. L'aumento non è
graduale, ma si fa sempre più sostenuto man mano che il tempo passa.
Il periodo che va dal 1983 al 2012 è stato il più caldo degli
ultimi 800 anni nell'emisfero boreale. Inoltre, l'anno appena
passato, il 2014, è stato il più caldo dall'inizio delle
registrazioni, mentre i 10 anni più caldi sono stati tutti
riscontrati dopo il 2000, con l'eccezione del 1998.
Previsioni.
Le previsioni per il futuro non sono affatto facili da compiere.
L'Ipcc, nel suo quinto rapporto, ci ha provato attraverso complessi
modelli matematici e ha pronosticato, per il periodo 2081-2100
(rispetto al 1986-2005), un aumento tra 0.3 °C e 4.8 °C (0.3-1.7 °C
nello scenario più favorevole, a basse emissioni serra, e 2.6-4.8 °C
in quello peggiore, a elevate emissioni).
LE
CONSEGUENZE
«Ok,
farà sempre più caldo. Embè? Significa che al mare metteremo creme
solari con la protezione più alta!»: questo è ciò che potremmo
pensare su due piedi. Ma le cose non sono così facili. Il
surriscaldamento globale influisce in modo pesante sul delicato
equilibrio dell'ecosistema Terra. Alcuni effetti sono già visibili
ma gli scienziati ne prevedono altri ancora più gravi, se non si
inverte subito la rotta sull'inquinamento del pianeta. Vediamo quali
sono.
- Lo scioglimento dei ghiacciai. Le enormi calotte glaciali presenti nei due poli del globo si stanno restringendo ad un ritmo pressante. Questo fenomeno colpisce soprattutto l'Artico e la Groenlandia, ma anche il Polo Nord non è esente da problemi: nell'agosto 2008, per la prima volta da 125 mila anni, i ghiacci che lo collegavano agli altri continenti sono scomparsi e hanno permesso di circumnavigarlo. Lo scoglimento dei ghiacciai è una questione rilevante soprattutto per la sua conseguenza più diretta: l'aumento della massa d'acqua degli oceani.
- L'innalzamento del livello dei mari. Tre quarti del nostro pianeta è occupato dagli oceani. Nonostante un'estensione difficile perfino da immaginare, la loro massa d'acqua sta aumentando visibilmente. Dall'inizio del Novecento ad oggi, il livello dei mari è cresciuto di 19 centimetri, più di quanto ha fatto nei precedenti 2 mila anni, e – come se non bastasse – l'aumento previsto entro la fine di questo secolo è compreso tra 26 e 82 cm. Ma non è l'unico guaio che devono affrontare gli oceani: le loro acque stanno diventando sempre più calde e acide, con risvolti nefasti sulla flora e sulla fauna che ospitano. La conseguenza sui continenti, invece, è la progressivamente erosione delle coste e la sommersione delle isole, che costringerà milioni di persone ad emigrare nell'entroterra, con tutti i problemi sociali che ciò comporta.
- La perdita della biodiversità. Non sono a rischio solo animali e vegetali del mare, ma anche quelli che vivono sulla terraferma. Il surriscaldamento globale, infatti, mette a repentaglio la sopravvivenza di tutte quelle specie che non dovessero riuscire ad adattarsi al nuovo clima terrestre. Si stima che un aumento del termetro globale tra 1,5 e 3,5 °C, possa portare all'estinzione di un numero di specie viventi tra il 20 e il 70% in cento anni. Una vera e propria ondata di estinzioni, come quelle che il nostro pianeta ha vissuto nel suo passato remoto, per riprendersi dalle quali, ha impiegato 10 milioni di anni.
- Gli effetti sul ciclo dell'acqua. L'implicazione più devastante del cambiamento climatico riguarda il ciclo dell'acqua, quel meccanismo perfetto della natura che consente all'acqua degli oceani di evaporare, formando le nubi, da cui ridiscenderà sotto forma di pioggia. Oggi, qualcosa rischia di alterare questo equilibrio: infatti, ogni grado di aumento della temperatura terrestre accresce del 7% la capacità dell'atmosfera di trattenere umidità. Ciò comporta un incremento delle precipitazioni, che però saranno sempre meno frequenti e più concentrate. Pertanto, specie nelle aree tropicali che vedranno la pioggia complessiva diminuire in favore delle zone temperate, i periodi di siccità dureranno più a lungo, accentuando anche il fenomeno delle desertificazione. Le conseguenze sulle coltivazioni non potranno che essere disastrose.
- Uragani più numerosi. Non solo le piogge saranno sempre più estreme, ma anche un fenomeno per sua natura eccezionale come gli uragani, si verificherà sempre più spesso. Possiamo rendercene conto già oggi: dagli anni '70, il numero di uragani di categoria 4 e 5 è addirittura raddoppiato.
LE
SOLUZIONI
Ci sono
tre modi di affrontare il problema del surriscaldamento globale. Il
primo è quello più utilizzato oggi dalla maggior parte delle
persone e dei leader globali: mettere la testa sotto la sabbia. Del
resto, si sa: preoccuparsi fa male alla salute, meglio andare
incontro alla catastrofe con un sorriso sulle labbra. È lo stesso
approccio alla base del debito pubblico: si lascia la patata bollente
in eredità alle generazioni successive.
Un altro
modo, molto più responsabile, di affrontare la questione è quello
di chiedersi, come fanno molti, «come posso contribuire io a ridurre
l'inquinamento e rispettare l'ambiente?». La risposta che molti si
danno è quella di rendere il più autosufficiente possibile la
propria abitazione, installando pannelli solari termici per l'acqua
calda e fotovoltaici per la produzione di elettricità oppure
realizzando il cappotto termico, che permette una notevole riduzione
degli sprechi sul riscaldamento. Tutto ciò consente, oltre che di
risparmiare sulle bollette, di ridurre il proprio consumo energetico,
diminuendo le emissioni di CO2 necessarie per garantire il
nostro fabbisogno di energia.
Spesso,
però, si pensa che per fare la propria parte basti prendere piccoli
accorgimenti come fermare il getto d'acqua della doccia mentre ci si
insapona. Certo, è molto importante adottare comportamenti in linea
con una condotta di vita rispettosa dell'ambiente. Ma queste piccole
buone azioni individuali non bastano (tornando all'esempio della
doccia, per capire quale risultato effettivo possa avere, basti
pensare che il consumo d'acqua annuo di una famiglia media è pari al
quantitativo necessario per produrre solo 5 kg di carne!).
Quindi,
per trovare soluzioni davvero efficaci al problema dei cambiamenti
climatici, è necessaria un'azione collettiva, che passi per una
mobilitazione politica. Solo gli stati possono avere il potere di
ridurre le emissioni di anidride carbonica mettendo in atto politiche
volte a promuovere le energie rinnovabili e la conversione delle
attività inquinanti.
Un timido
tentativo di intraprendere questa strada è già stato fatto. Tutto è
cominciato nel giugno del 1992, a Rio de Janeiro, dove si è svolto
il primo Summit della Terra, che ha riunito i capi di stato e di
governo di quasi tutti i paesi del mondo per discutere dei problemi
ambientali. Il risultato di questa prima conferenza mondiale sul
clima è stata la firma di un trattato con il quale gli stati si
impegnavano a ridurre le emissioni, ma senza obblighi vincolanti.
Quelli arriveranno con il Protocollo di Kyoto, nel 1997, che
stabiliva delle quote di riduzione delle emissioni per i paesi
industrializzati, che erano obbligatorie secondo il diritto
internazionale. L'accordo entrò in vigore nel 2005, dopo la sua
ratifica da parte di quasi tutti i 160 paesi firmatari. Soltanto gli
Stati Uniti cambiarono idea nel frattempo (in seguito al passaggio di
testimone alla Casa Bianca tra Clinton e Bush), nonostante siano
responsabili di più di un terzo dell'inquinamento globale.
Un grande
sponsor dell'accordo è stata l'Unione Europea, che al suo interno si
è posta un obiettivo ancora più impegnativo, con il Pacchetto Clima
20-20-20 che prevede, entro il 2020, un aumento del 20%
nell'efficienza energetica, una riduzione del 20% delle emissioni di
gas serra e un aumento del 20% della quota di energie rinnovabili.
Recentemente,
con l'accordo di Doha, si è deciso di estendere il protocollo di
Kyoto fino al 2020. Le speranze per uno sforzo maggiore nella lotta
al cambiamento climatico sono riposte nella conferenza sul clima che
si terrà alla fine di quest'anno a Parigi.
Intanto,
nel
1988,
le
Nazioni
Unite hanno creato
una Commissione Intergovernativa sul Cambiamento Climatico (IPCC),
che riunisce importanti accademici di tutto il mondo allo scopo di
studiare il surriscaldamento globale e trovare delle soluzioni.
L'ultimo rapporto dell'organizzazione
(insignita nel 2007 con il Premio Nobel) afferma che, per mantenere
l'aumento della temperatura globale entro i 2 gradi, soglia che si
ritiene di sicurezza, è necessario ridurre le emissioni del 40-70%
entro il 2050 e azzerarle entro la fine del secolo. La
soluzione proposta dall'Ipcc per affrontare una sfida così
impegnativa si articola su quattro punti:
- un uso più efficiente dell’energia;
- un uso maggiore dell’energia prodotta con basse o nessuna emissione (anche perché le tecnologie per farlo esistono già oggi);
- un miglioramento della cattura del carbonio (riducendo la deforestazione e adottando pratiche di stoccaggio dell'anidride carbonica);
- un cambiamento nei comportamenti e negli stili di vita.
Secondo
l'Ipcc, l'applicazione di queste direttive avrebbe effetti negativi
sulla crescita economica solo in piccolissima parte (lo 0,06%), senza
contare gli effetti benefici che si otterrebbero nel lungo termine.
IN
CONCLUSIONE
A
differenza di quello che accadeva in epoca preindustriale, oggi pare
che il rispetto per l'ambiente sia scomparso. Spesso è considerato
un lusso che non possiamo permetterci. Ma la protezione
dell'ecosistema non è un capriccio di qualche ambientalista che non
ha nulla di meglio da fare. La questione non è meramente estetica,
né tantomeno riguarda la sfera morale (o comunque, non solo). Qui si
tratta di tutelare quelle condizioni che permettono all'umanità di
poter continuare a vivere sulla Terra. Il surriscaldamento globale è
un problema di enorme portata che rischia di esploderci per le mani
nel giro di pochi decenni, causando catastrofi naturali che, in un
pianeta sovrappopolato e con le risorse in esaurimento, potrebbero
creare una vera e propria polveriera. Per evitare questo pericolo,
l'umanità è chiamata per la prima volta ad unirsi a livello
globale, superando ataviche divisioni e riscoprendo il proprio
destino comune. Solo così potremo garantire alle prossime
generazioni un pianeta sano dove vivere e prosperare.