La
teoria della decrescita può essere osservata sotto due differenti
punti di vista.
Il
primo è quello economico-politico. La decrescita infatti
propone un nuovo sistema economico ripensato fin dalle sue
fondamenta. Un sistema alternativo che possa risolvere i problemi di
quello precedente, partendo col riassegnare all'economia il ruolo che
le aspetta: quello di mezzo, non quello di fine. Ciò significa
rimettere al centro la persona, sono i suoi bisogni a dover essere
soddisfatti non quelli della produzione infinita fine a se stessa. La
decrescita ci dice di smettere di valutare tutto in termini monetari,
perché semplicemente alcuni beni un prezzo non ce l'hanno. La
sintesi della decrescita economico-politica è l'uscita dall'economia
della crescita, della produzione illimitata, sganciandosi dal Pil. Il
lavoro deve tornare ad essere un mezzo per garantire la sopravvivenza
fisica dell'individuo, non a permettegli di consumare sempre di più
per sopperire con l'acquisto compulsivo alle esigenze spirituali.
E qui
veniamo all'altro punto di vista, quello umano-filosofico. La
decrescita è capace di aprirci gli occhi e fare luce su ciò che
conta veramente. Ci spinge a rivedere le nostre priorità. Ha senso
passare ore nel traffico per andare a fare un lavoro che non ci
piace, con l'unico scopo di guadagnare dei soldi che spenderemo in
merci superflue che ci daranno solo la sensazione di riempire il
vuoto dentro di noi? O forse c'è un modo migliore di colmarlo?
Magari con l'istruzione, l'arte, la musica, la letteratura, la
religione, la filosofia, la ricerca scientifica pura, lo sport, le
attività sociali? Qualcuno bolla la decrescita come una religione
con l'intenzione di screditarla, ma non ha tutti i torti. Certo, la
decrescita non vuole essere una fede con dei dogmi calati dall'alto
senza alcuna base pratica e concreta ma sicuramente rappresenta un
nuovo stile di vita che ci spinge a guardarci dentro e abbattere le
costrizioni che ci vengono imposte. L'obiettivo è quello di rendere
attuabile un nuovo sistema sociale in cui i rapporti dell'uomo con
l'uomo, con la natura e con il tempo siano in completa armonia.
Questi
due diversi aspetti sotto i quali può essere osservata la decrescita
richiedono ciascuno un diverso tipo di approccio. Questa distinzione
è importante e deve essere ben compresa di chi taccia la decrescita
come un'ideologia totalitaria.
Il
requisito della decrescita economico-politica è una condivisione
collettiva che porti a cambiare la politica economica generale
dello stato volgendola verso l'obiettivo della decrescita. Sotto
questo profilo la decrescita viene applicata solo all'intervento
dello stato nell'economia, non vengono decisi dei limiti obbligatori
al consumo degli individui che ledano i diritti umani. In tal senso,
chi parla di fondamentalismo e totalitarismo della decrescita è
completamente fuori strada. Lo stato deve anzi ridurre le
infrastrutture che distruggono l'ambiente con il cemento, deve
ridistribuire le ricchezze in modo che anche chi non riesce ad
arrivare alla fine del mese (se vuole) possa diminuire le ore
lavorative, deve favorire la cultura, l'arte, l'istruzione.
La
decrescita a livello umano-filosofico è invece una scelta
individuale, frutto di un percorso introspettivo personale che
porti a rendersi conto che la vita consumistica conduce
all'infelicità. Di qui la scelta di decrescere nei consumi per poter
diminuire le ore lavorative, in modo da avere più tempo per le
relazioni umane, per occuparsi della propria casa, della propria
famiglia, per la cultura e per la spiritualità. Ma sia chiaro:
questa è una scelta che può compiere solo il singolo per se stesso,
ma può anche decidere di non farlo se arriva a conclusioni diverse.
Se a una persona piace fare il proprio lavoro e non smetterebbe mai
di farlo, nessuno gli può imporre di lavorare di meno.
In
questo senso, possiamo paragonare la decrescita sul piano
economico-politico al voto di una parte politica o alla propensione
per una certa teoria economica piuttosto che un'altra, mentre la
decrescita sul piano umano-filosofico può essere comparata con la
fede in una religione o con la scelta di credere nella filosofia zen
o di diventare vegetariani. Le due cose, infatti, devono rimanere
separate.
La
salute del nostro pianeta è critica, i prossimi decenni saranno
decisivi, se continueremo a vivere al di sopra dei limiti fisici del
nostro ecosistema – inquinandolo e depredandolo delle sue risorse –
i problemi attuali aumenteranno: la temperatura terrestre crescerà,
i ghiacciai si scioglieranno, i mari si alzeranno, le terre
diverranno sempre più aride, i fenomeni climatici sempre più
estremi, l'aria sempre più irrespirabile, il cemento coprirà tutto
il verde. Per scongiurare questo infausto destino, dobbiamo subito
correggere la nostra rotta e dirigerla verso una maggiore sensibilità
ambientale che si traduce in minori emissioni di anidride carbonica,
una capillare diffusione delle energie rinnovabili, una riduzione
degli sprechi. Ma questo non basta. Una popolazione di sette miliardi
di individui (nove nel 2050) che consuma risorse a ritmo crescente e
con una larga fetta di nuovi consumatori dei paesi in via di sviluppo
che si accingono ad entrare a pieno titolo nel novero dei paesi
sviluppati e a raggiungere i loro livelli di pressione sull'ambiente,
non ci suggerisce di cambiare solo qualche virgola ma ci impone di
invertire il trend, entrando nella società della decrescita, l'unica
strada possibile per non soccombere.
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