Chi
sostiene le ragioni della crescita, una volta accettata la finitezza
delle risorse del pianeta, avanza tre argomentazioni a proprio
favore: la sostituibilità dei fattori produttivi, l'economia
immateriale e l'ecoefficienza.
LA
SOSTITUIBILITÀ DEI FATTORI
La
prima ipotesi sostiene la possibilità di sostituire i fattori
rappresentati dal capitale naturale – e quindi limitato – con un
capitale umano illimitato perché costituito da conoscenze e
competenze. In effetti, entro una certa misura è possibile
rimpiazzare il naturale con l'artificiale, ma non accrescere il
flusso di materie prime. Come osserva Mauro Bonaiuti, non si può
continuare a fare lo stesso numero di pizze se si diminuisce
progressivamente la farina, anche se si aumentano il numero di forni
e di pizzaioli.
L'IMMATERIALITÀ
DELLA NUOVA ECONOMIA
Anche
il secondo argomento, di primo acchitto, può sembrare
fondato: l'economia moderna, o "nuova economia", è sempre
più fondata sui servizi e su flussi virtuali e quindi
immateriali. La nuova "economia della conoscenza" è un
cocktail di informatica, elettronica, telecomunicazioni, reti,
biotecnologie, nanotecnologie. La sua forza lavoro sono ricercatori,
ingegneri, tecnici, informatici che vanno a rimpiazzare gli operai,
come il computer elimina la macchina utensile. Ciò che però si
ignora è che, se questa invasione dell'economia immateriale su
quella materiale avviene in termini percentuali sull'economia
nel suo complesso, non accade in termini assoluti. Aumenta lo
spazio di mercato dei settori terziario e quaternario ma non
diminuisce quello del settore industriale. Inoltre, questo
capitalismo cognitivo è più avido di supporti materiali di
quanto possa sembrare. Un software sempre più capace richiederà un
hardware sempre più complesso, la cui costruzione implicherà
l'utilizzo di enormi quantità di energia e minerali rari da trovare
e difficili da lavorare. Per di più, la cosiddetta "economia
della conoscenza" postindustriale dei paesi sviluppati si fonda
sul trasferimento sempre più massiccio della produzione verso
i paesi emergenti; tant'è che, se a livello dei singoli paesi
sviluppati una terziarizzazione dell'economia è innegabile,
globalmente la società mondiale non è mai stata tanto industriale
quanto oggi.
L'ECOEFFICIENZA
La
terza ricetta, quella giudicata definitiva dai fautori della
teoria della crescita ma considerata valida universalmente, è stata
trovata nell'ecoefficienza. Si tratta di abbassare progressivamente
l'impatto ambientale e il livello di sfruttamento delle fonti fossili
fino a livelli ecocompatibili. E fino qui nulla da eccepire,
ma se si continua sulla strada della crescita forsennata si arriverà
al cosiddetto "effetto rebound" che porta al paradosso
di Jevons: aumentando l'efficienza di un prodotto, oltre ad
essere più ecosostenibile, esso sarà meno costoso, rendendolo più
appetibile a un maggior numero di acquirenti. In questo modo, il
diminuito sfruttamento delle risorse per la produzione di tal oggetto
sarà annullato da un aumento del loro consumo al fine di ampliare la
produzione per fronte di una accresciuta domanda. Pertanto,
l'ecoefficienza è auspicabile ma non deve essere resa inutile
continuando a percorrere la strada della crescita infinita. Questo
processo, poi, può avere anche un risvolto psicologico:
soddisfatti di aver ridotto il consumo di energia e avere quindi
risparmiato, ci si potrebbe sentire autorizzati a concedersi qualche
altro sfizio, in tal modo spesso si utilizza più energia di quella
preservata.
Comunque,
anche se queste tre misure-tampone fossero praticabili, esse
permetterebbero di ovviare soltanto al problema dell'esauribilità
delle risorse, che è soltanto uno
degli aspetti negativi della società della crescita.
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