Secondo
me, ci sono due tipi di persone: gli integrati e i ribelli. Gli
integrati sono coloro che prendono le cose come sono, nascono dentro
a certi schemi che diventano i loro totem, delle fondamenta su cui
costruire i loro progetti, i loro sogni. Gli sono stati imposti dei
punti di riferimento, che gli tracciano la strada da percorrere, nel
bene e nel male. I ribelli sono il loro contrario, quelli che non si
fanno andar bene ciò che gli è stato preparato, ma lo mettono in
discussione; cambiano gli schemi, le regole, gli assiomi e per questo
sono più insicuri. Ebbene, io faccio parte di questa seconda
categoria. Sia chiaro: lungi da me stigmatizzare gli altri, ma io
proprio non ci riesco a farmi piacere cose che non concepisco. E
quindi tento di cambiarle.
Così,
fin da piccolo, ho cercato persone che mi parlassero di altri modi di
vivere, altri modi di pensare, altri modi e altri mondi. Non mi
piaceva quello che vedevo e quindi cercavo qualcosa di diverso.
In
particolare, giudicavo insensato il rapporto che l'uomo aveva con
l'ambiente e con l'ecosistema. Nonostante da anni l'uomo conosca i
pericoli a cui sta andando incontro con l'inquinamento e la
distruzione dell'ambiente non sta facendo niente per cambiare rotta.
Fin dal 1972, quando il rapporto sui limiti della crescita
commissionato dal Club di Roma al Mit ha introdotto i temi ambientali
nel dibattito pubblico, l'uomo assiste passivamente alla costante
apparizione dei sintomi di un ecosistema malato che si sta pian piano
dirigendo verso il baratro. Un pianeta che chiede aiuto e che noi
stiamo ignorando.
Così
ho scoperto che qualcuno in realtà si stava preoccupando quanto me
dei segnali della Terra e aveva pensato a delle soluzioni. Gli
ambientalisti e gli ecologisti erano una minoranza di fronte
all'indifferenza generale, ma erano combattivi perché percepivano i
seri rischi che l'economia spregiudicata stava comportando per la
Terra. Per cambiare le cose, questi soggetti proponevano misure come
l'abbandono delle fonti energetiche fossili e la diffusione di quelle
rinnovabili, la riduzione degli sprechi energetici, una diminuzione
delle emissioni di anidride carbonica, una maggiore giustizia
sociale, una nuova sensibilità ambientale. Tutte idee ragionevoli e
sensate, improntate a una reale armonia con l'ambiente, ma che
venivano sistematicamente ignorate.
Tutto
ciò aveva un senso ma si scontrava con il contesto in cui era
inserito. Quello di un sistema economico basato sul consumo crescente
e sul calcolo costi-benefici, che non permette l'integrazione in esso
delle misure ambientali necessarie.
In
questo frangente si inserisce la decrescita: una cornice teorica alle
idee pratiche pensate da ambientalisti ed ecologisti. La quadratura
del cerchio di una soluzione altrimenti incompleta. È
impensabile poter coniugare la riduzione degli sprechi (meno consumo
uguale meno produzione quindi meno Pil) con la società della
crescita. La decrescita si fa quindi l'unico impianto teorico
possibile per ospitare quelle soluzioni al problema ambientale che
possono far rimanere la Terra un posto vivibile e scongiurare le
catastrofi a cui il surriscaldamento globale può portare.
Certo,
la decrescita non è la panacea di tutti i mali della società. È
una delle strade possibili, ma l'unica finora che spieghi come
risolvere i problemi ambientali e sociali anche dal punto di vista
pratico.
Per
questo motivo, ho deciso di approfondire il pensiero della decrescita
nella mia tesina.
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