lunedì 5 marzo 2012

La vita non dipende dallo spread ma dalla fotosintesi

È possibile crescere all'infinito? Dal punto di vista biologico, tutti noi sappiamo che la risposta è 'no': conclusa l'adolescenza, l'altezza che abbiamo raggiunto rimarrà la stessa per tutta la nostra vita. Sotto il profilo economico, se ci riflettiamo un momento, la risposta è altrettanto scontata: no. Com'è possibile pensare che la produzione possa crescere per sempre? Eppure tutti i media ci propinano la crescita come la panacea di tutti i mali dell'economia, dalla disoccupazione al debito pubblico.
Una diversa visione delle cose ci è stata offerta durante l'incontro sul tema "Come affrontare la crisi?", organizzato dalla Cooperativa Famiglie Lavoratori presso l'Auditorium della Cassa Rurale di Treviglio il 26 gennaio 2012 dove sono intervenuti Maurizio Pallante, che si occupa da anni di ambiente ed energia ed è leader del Movimento per la Decrescita Felice, e Andrea Di Stefano, esperto di finanza e direttore della rivista "Valori", mensile di economia sociale e sostenibilità edito da Banca Etica.
Nella prima parte della serata si è parlato delle cause della crisi che ha sconvolto il mondo nel 2008. La principale è stata trovata nel debito, sia quello degli stati sia quello dei privati cittadini. Secondo i due relatori la crisi è stata fin dal principio di tipo produttivo, con un eccesso di offerta di beni rispetto alla domanda. E se, fino ad allora, si era riusciti a mantenere il mercato in precario equilibrio con un alto debito che, facendo costare di più le merci, aveva permesso di sostenere l'equazione "offerta uguale domanda", all'improvviso il sistema è crollato su se stesso perché la maggior parte dei debiti non veniva più restituita (partendo dai mutui subprime negli Stati Uniti).
Nei paesi occidentali la crisi ha determinato un alto tasso di disoccupazione, per contenere il quale, a detta degli economisti ortodossi, «è necessario tornare a crescere». Ma Pallante ha fatto notare che in Italia, dal 1960 al 1999, a fronte di un Pil aumentato del 360%, gli occupati sono cresciuti solo di 400 mila unità.
A proposito del Pil, durante la conferenza, è stata ravvisata la necessità di sostituire questo misuratore di tipo quantitativo con uno di tipo qualitativo. Al Pil, infatti, sfuggono fenomeni come l'autoproduzione (il classico orto di casa, per esempio) o il lavoro delle casalinghe e porta al paradosso che se quest'anno ci fossero più ammalati e così si comprassero più medicinali, il Pil crescerebbe, dimostrando di non essere un'unità di misura affidabile del benessere di un popolo.
Detto ciò, i due esperti hanno suggerito le loro soluzioni all'attuale sistema economico fallimentare. Pallante ha illustrato le fondamenta su cui si basa il suo Movimento per la Decrescita Felice: lo sviluppo di tecnologie per abbattere gli sprechi (per capire l'entità del problema basti pensare che il 3% del Pil italiano è costituito da cibo che viene buttato via), la sensibilizzazione delle istituzioni verso queste tematiche e il cambiamento degli stili di vita. A tal riguardo, la discussione si è spostata quasi su un piano filosofico: decrescere nei consumi e nella dipendenza dai mercati internazionali, rimettere al centro il territorio e puntare sull'autoproduzione ci permetterebbe di avere più tempo a disposizione per le relazioni umane e per la nostra sfera sociale. Insomma, consumare meno per vivere meglio.
Secondo Di Stefano, invece, la soluzione sta nel mettere un freno alla "finanza Frankenstein", che oggi vale trenta volte di più del Pil del mondo. Altre misure riguardano l'introduzione della Tobin Tax (la tassa sulle rendite finanziarie), lo spostamento della pressione fiscale dal lavoro ai consumi, la creazione del reddito minimo garantito, un maggiore impegno nel risparmio energetico e la redistribuzione del reddito all'interno dei paesi sviluppati (negli ultimi 20-25 anni le entrate dell'1% più ricco della popolazione sono aumentate del 275%, quelle del restante 99% solo del 18).
Ai due relatori è stato poi chiesto cosa può fare, dal canto suo, il singolo individuo. Deve aspettare direttive dall'alto o può mettere in pratica delle azioni concrete già da subito? Di Stefano ha risposto che l'iniziativa migliore che una persona può intraprendere è quella di esercitare pressioni sulle amministrazioni locali affinché comincino ad adottare politiche virtuose nei campi della gestione dei rifiuti, dello sfruttamento della risorsa idrica, della mobilità e della ristrutturazione degli edifici pubblici per renderli più efficienti sotto il profilo energetico. Pallante ha aggiunto anche che è necessario prestare un'attenzione particolare alla propria abitazione, installando piccoli impianti di fonti rinnovabili e potenziando l'isolamento termico (punto debole degli edifici italiani, se paragonati a quelli tedeschi).
Molti di coloro che hanno preso parte a questo appuntamento, hanno realizzato di vivere in un mondo sull'orlo del baratro, drogato da decenni di energia a prezzo di saldo (ora in esaurimento) che, oltre ad averci abituato al consumismo più sfrenato, ha inquinato l'ambiente fino a farci giungere quasi al punto di non ritorno. Allo stesso tempo gli astanti hanno scoperto che una soluzione esiste e risiede nel mettere di nuovo al centro di tutto la persona umana e i suoi veri bisogni, ridimensionando i numeri di questa economia fine a se stessa. Perché, per dirla con le parole di Pallante, «la vita non dipende dallo spread, ma dalla fotosintesi clorifilliana».

Aggiornamento del 16/03/2012
Il professor Maurizio Pallante ha avuto modo di leggere questo articolo e l'ha così commentato:
«L'articolo dello studente dimostra un'intelligenza, una maturità, una volontà di capire e una capacità di comunicare l'essenziale con chiarezza, che non esito a definire straordinarie. Finché, nonostante tutti i giganteschi sforzi fatti per evitare che le persone pensino con la propria testa, continueranno a esserci ragazzi con queste caratteristiche, non tutto è perduto. Quell'articolo testimonia che l'irriducibilità degli esseri persiste testardamente a tutti i tentativi di annullamento e omologazione.»

martedì 10 gennaio 2012

Quale cibo nel nostro futuro?

A scuola l'insegnante ci ha chiesto di svolgere un tema sull'alimentazione, la traccia è quella degli ultimi esami di stato (vedi tracce, pg.4).

Nel passato, tra le persone di cultura cristiana ma non solo, si era soliti ringraziare dio e rendergli onore prima di iniziare a mangiare. Oggi questa sacralità del cibo si è persa. Il cibo è diventata una merce, quotata sui mercati internazionali alla stregua del petrolio e del gas, soggetta alla speculazione come gli immobili e i titoli di stato.
L'identificazione dei prodotti alimentari come un mero strumento con cui fare denaro è pienamente esemplificata dall'attività delle multinazionali, le quali trovano sempre più consenso tra i consumatori a scapito dei mercati rionali e dei prodotti dalla filiera corta.
Nei paesi sviluppati la cementificazione selvaggia ruba sempre più terre all'agricoltura (in Italia, ogni giorno, se ne perdono per un'estensione pari a 7 volte piazza del duomo a Milano). Così, le multinazionali fanno degli accordi con i governi africani per acquistare o affittare grossi appezzamenti di terreno che vengono sottratti all'agricoltura di sussistenza delle popolazioni locali; viene così aggravato il problema della fame nel mondo. Queste monocolture estensive assestano un duro colpo alla biodiversità e sono spesso praticate con OGM e fertilizzanti chimici che, oltre a dare serie preoccupazioni per la salute, riducono la qualità e le proprietà del prodotto.
Ma la questione del cibo è legata a doppio filo a quella dell'acqua, che non a caso è anche chiamata "oro blu". Quando le multinazionali acquistano dei terreni, acquisiscono anche il diritto di usare le falde sotterranee. L'acqua poi è un motivo di conflitto tra i vari stati, soprattutto in Africa, dove capita spesso che lo stato dove nasce il fiume costruisca dighe per sfruttare l'acqua il più possibile ma, così facendo, priva di queste risorse lo stato più a valle.
Un'altra prova della mercificazione dei prodotti agricoli la troviamo nella forte speculazione internazionale che ha fatto impennare il prezzo del grano; aumento dovuto anche alla scelta di destinare alcune colture ai biocarburanti, sottraendo terreni alla produzione di cibo che servirà sempre di più su un pianeta che raggiungerà i nove miliardi di abitanti nel 2050.
Tutto ciò si riflette inevitabilmente sulla concezione del cibo del singolo consumatore. Gli italiani stanno abbandonando la buona cucina, sostituendola con prodotti grassi e dolci che, insieme ad uno stile di vita sedentario, portano a malattie cardiache e di altro tipo.
L'Italia è uno dei paesi al mondo con la più alta speranza di vita proprio per la sua tradizione culinaria, alla cui base c'è la Dieta Mediterranea, una dieta povera che contempla alimenti salubri e in giusto equilibrio fra loro.
Mentre in passato la consumazione del cibo era un momento imprescindibile della giornata, in cui era importante anche il fattore umano della socializzazione, oggi il pranzo e la cena sono fissati in base agli altri impegni e spesso sono consumati in fretta.
Questa non è una situazione sostenibile ma va cambiata attraverso un mutamento dei nostri costumi e una maggiore sensibilizzazione delle persone, magari sin da quando sono giovani con un programma di educazione alimentare nelle scuole.
Questo è estremamente importante perché noi siamo quel che mangiamo e la nostra salute è determinata in primo luogo dagli alimenti che assumiamo.

martedì 15 novembre 2011

Finita l'occupazione di Zuccotti Park

La polizia vien di notte. Precisamente alle 2 a.m., come si dice lì. I manifestanti che da due mesi stavano occupando Zuccotti Park per protesta contro lo strapotere dell'élite finanziaria (l'uno per cento) di Wall Street, stavano dormendo nelle loro tende. E all'improvviso è arrivato il NYPD a intimargli di liberare l'accampamento in venti minuti. Circa duecento dimostranti hanno reagito e sono stati portati via di peso, con destinazione la cella. Gli altri se ne sono andati con le loro gambe, per poi tornare ad occupare questa mattina le altre piazze della zona. In questo momento sono a Foley square. Il sindaco della città di New York, Micheal Bloomberg, si è assunto tutte le responsabilità dello sgombero, spiegando che è stato deciso, di comune accordo col proprietario del parco (che è privato), per tutelare la salute pubblica ed evitare rischi di incendi.
Se l'arrivo della polizia era immaginabile, l'orario e i modi in cui questo è successo hanno davvero dell'incredibile. Autorità pubbliche che giungono nottetempo a scacciare dei manifestanti pacifici e indifesi da un parco dove erano accampati da più di due mesi e soprattutto senza alcun preavviso, non si erano mai viste. Gli Stati Uniti, che si vorrebbero fare "esportatori di democrazia" nel mondo, dovrebbero prima rileggersi il proprio Primo Emendamento. I giornalisti che documentavano gli eventi sono stati trattati alla stregua degli occupanti e gli è stato impedito di fare il loro lavoro.
Tutto ciò è, prima di tutto, un vero peccato. Occupy Wall Street stava diventando il miglior esempio di democrazia partecipativa e diretta. Le decisioni venivano prese dall'assemblea generale dove ognuno valeva il proprio voto. Pian piano si faceva strada il manifesto del movimento, con le richieste definite e concrete che l'opinione pubblica americana gli chiedeva. L'organizzazione era perfetta, c'erano zone dove mangiare, dove dormire, dove curarsi, perfino una biblioteca e un efficiente ufficio stampa che teneva i rapporti col mondo esterno; ognuno aveva il proprio compito. Ora tutto ciò non c'è più e probabilmente non ci sarà una nuova occupazione qualche isolato più in là. Ciò che resterà sarà però l'insofferenza di quel 99 per cento di cittadini verso la parte rimanente della società che sta rubando loro il futuro.

martedì 1 novembre 2011

Le considerazioni finali di Mario Draghi a Bankitalia

Oggi Mario Draghi si è insediato alla presidenza della Banca Centrale Europea, dopo cinque anni passati sullo scranno più alto di Banca d'Italia. Il 31 maggio 2011 ha letto davanti all'assemblea dell'organismo le sue ultime considerazioni finali. Di seguito riporto un mio resoconto di quel discorso.

Le considerazioni finali del governatore della Banca d'Italia – le ultime di Mario Draghi che finirà il suo mandato questo autunno e andrà a occupare la posizione più alta della BCE – si sono aperte con la parola magica tanto in voga negli ultimi tempi: cambiamento. È stato proprio questo termine al centro del breve compendio di Draghi delle decisioni prese durante la sua permanenza in Bankitalia. A ciò è seguita una panoramica dell'economia mondiale: l'uscita dalla crisi, i suoi lasciti e i problemi che tutt'oggi ostacolano la crescita: la disoccupazione, l'inflazione, i debiti pubblici troppo alti che legano le mani ai governanti e gli squilibri delle bilance dei pagamenti di parte corrente.
La ricetta del governatore per tornare a crescere si può riassumere ancora una volta in un lemma: regole. I passi fatti con la riforma dei mercati finanziari, soprattutto di quelli ombra o over-the-counter, sono importanti ma altre misure sono necessarie per non commettere più gli errori del passato. Un settore che va più fortemente regolamentato e vigilato è quello delle grandi banche, «devono poter fallire, se necessario: in modo ordinato (...) senza che i costi del loro dissesto siano sostenuti dai contribuenti».
Venendo all'Unione Europea, ha elencato tutti i risultati positivi: un deficit e un debito contenuti rispetto a quelli delle altre grandi potenze, il saldo corrente della bilancia dei pagamenti in pareggio e la ripresa economica che si sta consolidando. Non ha potuto fare a meno di registrare, però, la difficile situazione attraversata dall'unione economico-monetaria, causata dall'alleggerimento della sorveglianza sulle politiche di bilancio dei singoli stati. Questo lassismo ha portato oggi alcune nazioni come Irlanda, Grecia e Portogallo a non riuscire a ripagare il proprio debito pubblico. Il governatore uscente è comunque fiducioso: «la strada del risanamento è percorribile», ricordando l'esperienza italiana dell'inizio degli anni Novanta, quando lo Stivale riuscì a uscire da una crisi peggiore di quella ellenica. Nel combattere gli effetti della crisi, ha detto Draghi, è stata decisiva l'azione della BCE che, con misure quali l'accorta e tempestiva manipolazione del tasso di riferimento o il programma di acquisti di titoli sovrani emessi nell'area, ha fatto sì che nell'Eurosistema regnasse una certa stabilità.
Dalla situazione europea a quella italiana. Sebbene Draghi abbia ammesso la presenza di alcuni elementi che hanno comportato minori sacrifici per l'Italia di fronte alla crisi, ha comunque sottolineato la necessità di stringere la cinghia sulla spesa corrente nel triennio 2012-2014. Per far ciò, l'economista ha respinto l'ipotesi di tagli lineari, caldeggiando invece una manovra basata su un'attenta analisi delle singole voci di spesa dei bilanci degli enti pubblici e condita magari da una riduzione della tassazione sui redditi di lavoratori e imprese, una più dura lotta all'evasione fiscale e una maggiore responsabilizzazione degli enti locali nell'ottica del federalismo fiscale.
Quello che preoccupa Draghi è la crescita. Dei 7 punti percentuali persi dall'economia italiana durante la crisi, solo due sono stati recuperati. Nell'ultimo decennio il PIL è salito meno del 3 per cento, gli investimenti esteri diretti sono stati pari all'11% del PIL, la produttività oraria e le retribuzioni reali sono rimasti fermi: dati che si discostano non poco in negativo da quelli della Francia, una nazione molto simile alla nostra per popolazione. Le ragioni della stagnazione il governatore li trova nell'inefficienza della giustizia civile che fa fuggire gli investitori, nei bassi livelli di apprendimento del nostro sistema educativo, nella scarsa concorrenza nel settore dei servizi, nell'esigua dotazione di infrastrutture, nel loro alto costo e nei tempi biblici di costruzione, nella capillare diffusione del precariato, nelle confuse regole della rappresentanza sindacale, nella limitata partecipazione femminile al mercato del lavoro (venti punti in meno rispetto a quella maschile) e nella difficoltà di chi perde il posto di lavoro di trovarne un altro.
Un cenno particolare Draghi l'ha fatto sulla frammentazione delle imprese italiane, che sono del 40 per cento più piccole di quelle dell'area Euro. Ciò determina sì una certa flessibilità del mercato, ma anche una minore propensione a innovare, a svolgere attività di ricerca e sviluppo e a investire nelle economie emergenti.
Il futuro presidente della BCE ha quindi parlato di ciò che è più strettamente di sua competenza: le banche. Nel 2010, gli istituti italiani hanno fortemente aumentato i finanziamenti alle imprese. Ciò ha lasciato invariata l'incidenza dei prestiti a sofferenza iscritti in bilancio, anche se nei primi mesi di quest'anno la situazione sta migliorando. Durante la crisi, le banche di piccole dimensioni hanno fornito sostegno alle imprese, anche attraverso ristrutturazioni dei debiti e temporanee sospensioni delle rate. La raccolta bancaria, anche se risente delle tensioni sui debiti sovrani, è stata quasi completata, con il 40 per cento della somma proveniente dall'emissione di covered bonds. La richiesta di Banca d'Italia, nello scorso anno, di rafforzare il patrimonio, è stata prontamente accolta dalle banche. I cinque maggiori gruppi hanno visto rimanere costante al 4% il rendimento di capitale e riserve, nonostante il 7,8 registrato dai dodici più grandi intermediari europei. Draghi ha poi auspicato per le banche una più stretta regolamentazione, in ragione del fatto che durante la crisi, anche se la maggioranza ha tenuto un buon comportamento, alcuni istituti hanno subìto delle procedure di gestione provvisoria, amministrazione straordinaria e liquidazione. I due binari su cui dovrebbe muoversi il legislatore sono: l'ampliamento dello spettro delle misure di risoluzione della crisi e la dotazione alla Vigilanza (branca di Bankitalia a cui spetta il controllo degli intermediari bancari e finanziari) della possibilità di rimuovere dagli organici delle banche gli esponenti responsabili di condotte nefaste. A proposito della Vigilanza, l'economista ne ha spiegato i miglioramenti apportati, come il rafforzamento delle prassi operative e dell'ispezione mirata, facendone una struttura «pronta a persuadere se possibile, a prescrivere se necessario» composta da «civil servants preparati e retti» e che, in questo frangente in cui il sistema bancario deve adattarsi a nuove norme internazionali, si adopera affinché agli alti livelli si tenga conto delle specificità italiane e aiuta le nostre banche a stare nei nuovi paletti posti dalle autorità globali.
Mario Draghi si è avviato alla fine delle sue considerazioni finali facendo il bilancio dei suoi cinque anni in Banca d'Italia. Il governatore uscente ha rivendicato di aver sempre messo al primo posto la crescita economica del Paese e di aver illustrato tante volte obiettivi e linee di azione per favorirla alla politica, che però non ha voluto ascoltare. Di contro ha lodato il popolo italiano che, nei 150 anni della sua storia, è riuscito a costruire, progredire e superare le contrapposizioni. Ma lo sguardo è rivolto al futuro: l'Italia, ora, deve raggiungere il pareggio di bilancio, ricomporre la spesa e ridurre l'onere fiscale ai lavoratori e imprenditori onesti. Per tornare a crescere.

martedì 21 giugno 2011

Un partito anticostituzionale

Statuto della Lega Nord, articolo 1:
«Il Movimento politico denominato “Lega Nord per l’Indipendenza della Padania” (in seguito indicato come Movimento oppure Lega Nord o Lega Nord - Padania), costituito da Associazioni Politiche, ha per finalità il conseguimento dell’indipendenza della Padania attraverso metodi democratici e il suo riconoscimento internazionale quale Repubblica Federale indipendente e sovrana.»

Costituzione della Repubblica Italiana, articolo 5:
«La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.»

Qualcuno, come me, nota un certo conflitto?