Da
sempre sentiamo dire che per risolvere i problemi dell'economia serve
la crescita: crescere per creare nuovi posti di lavoro, crescere per
abbattere il debito pubblico, crescere per aumentare il benessere.
L'intera economia è basata sulla crescita, ovvero sull'aumento
sempre maggiore della produzione e del consumo. Ma come è possibile
sostenere questo aumento infinito all'interno di un mondo finito?
Questa è la domanda (retorica) fondamentale che si pongono i
sostenitori della decrescita. La decrescita, infatti, è una teoria
economica in base alla quale si deve abbandonare la logica perversa
del produrre-consumare-crepare per dedicarsi di più a ciò che
realmente importa nella vita: le relazioni umane, la cultura, la
spiritualità, gli interessi personali. Per questo molti parlano di
"decrescita felice" o "decrescita serena".
Per
capire i paradossi della società della crescita, basta capire come
funziona il PIL (Prodotto Interno Lordo), ovvero l'unità di misura
della nostra economia. Esso viene calcolato sommando tutti i beni
destinati al consumo prodotti all'interno di un paese in un anno. Il
problema sta in quali beni esso considera: infatti non calcola il
lavoro svolto gratuitamente come il volontariato e quello svolto
dalle casalinghe (come faremmo senza?!) ma prende in considerazione
le attività illecite come il riciclaggio di denaro sporco e le
attività inquinanti. Il Pil tiene conto della produzione di armi e
non considera la nostra istruzione e la nostra salute. Insomma, come
disse Robert Kennedy nel 1968, il Pil «misura tutto, eccetto ciò
che rende la vita veramente degna di essere vissuta».
Ma
i problemi della società della crescita non si fermano qui: un altro
importante effetto collaterale della produzione eterna senza limiti è
il suo effetto sull'ambiente. La questione del surriscaldamento
globale è oggi più attuale che mai, se non invertiamo la tendenza
dell'aumento delle temperature mondiali potremmo assistere nell'arco
di pochi decenni a veri e propri cataclismi, dei quali già da ora
possiamo vedere i segnali: innalzamento del livello dei mari,
desertificazione e inaridimento dei suoli, fenomenti climatici
estremi sono solo alcuni.
La
decrescita si pone quindi come un'alternativa ad un mondo sempre più
ingiusto e sempre più diseguale che sta andando verso il baratro per
sua stessa mano. Ci invita a recuperare la ragionevolezza persa,
quella che ci suggerisce di passare dal "produrre di più"
al "produrre il giusto", di adottare nuovi valori come
l'altruismo al posto dell'egoismo, l'importanza delle relazioni al
posto del consumo sfrenato e della produzione illimitata, il piacere
del divertimento al posto dell'ossessione per il lavoro, il gusto per
il bello al posto dell'efficienza produttiva, il locale al posto del
globale. La decrescita si può anche esprimere con otto parole, le
"otto erre": rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare,
ridistribuire, rilocalizzare, ridurre, riutilizzare, riciclare. Nella
pratica di tutti i giorni, questi termini astratti si possono
tradurre nel ridurre i consumi, certo, ma anche nell'adottare uno
stile di vita più sobrio, nel ridurre gli sprechi,
nell'autoproduzione dei beni in casa (come le marmellate e l'orto) e,
dal punto di vista politico, nel favorire le energie rinnovabili e
nell'adottare politiche di ridistribuzione dei redditi e di welfare
sociale.
Ma
la decrescita deve essere anche un percorso introspettivo di tipo
personale, che ci spinga a diminuire le ore di lavoro, specie se si
tratta di un'attività che non ci piace fare, per dedicarci ad altri
aspetti della vita che sono quelli, per tornare a Kennedy, «per cui
vale la pena vivere»: la cultura (l'istruzione, l'arte, la musica,
la letteratura, la religione, la filosofia, la ricerca scientifica
pura...), lo sport, le relazioni umane e le attività sociali.
Questo
cambiamento di paradigmi può sembrare una svolta radicale ma è
assolutamente necessaria se vogliamo togliere il nostro pianeta da
una strada che lo sta portando verso il baratro e indirizzarlo su
quella che lo può portare ad una umanità più solidale con se
stessa dove le disuguaglianze e le ingiustizie siano sempre più solo
un lontano ricordo.
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