Due
storie. Due storie fanno capolino sulle prime pagine dei giornali in
questi giorni. Sono due storie alle quali normalmente sarebbe stato
dedicato meno spazio ma, complice la consueta penuria di notizie
ferragostana, stanno godendo di una certa risonanza.
La
prima è la storia di tre ragazze russe poco più che ventenni, le
Pussy Riot che, stufe dell'oppressione del loro governo verso chi
manifesta liberamente il proprio pensiero, hanno deciso di cantare
una canzone contro il loro presidente illiberale sull'altare della
cattedrale più importante della nazione. Con questo gesto, figlio
illegittimo della società della comunicazione, si sono accaparrate
l'attenzione dell'opinione pubblica internazionale che le sta
sostenendo nel processo che le vede imputate per quell'efficace atto
di protesta e che si è concluso con una condanna a due anni di
lavori forzati, senza condizionale. «Esistono ancora i lavori
forzati?» si sono chiesti i più.
L'altra
storia è quella di un personaggio un po' più accorto nel ribellarsi
al sistema, Julian Assange. Assange è uno che ci sa fare con il
computer e due anni fa ha creato un sito web, Wikileaks che,
servendosi delle cosiddette "gole profonde" all'interno
delle organizzazioni governative e non, svela i segreti del potere,
le verità indicibili che gli stati nascondono, i crimini che essi
compiono e poi vogliono insabbiare. Da quando Assange ha cominciato
il suo lavoro non ha più un attimo di respiro, dovendosi difendere
da un accerchiamento internazionale sempre più stretto. Sul suo capo
pendono due accuse di molestie sessuali che fanno acqua da tutte le
parti ma che le autorità svedesi usano come pretesto per poterlo
estradare nel proprio paese, dal quale poi essere condotto negli
Stati Uniti dove probabilmente lo attende il boia. Così Assange si è
visto costretto a barricarsi all'interno dell'ambasciata londinese
dell'Ecuador (unico stato ad avergli concesso asilo politico), dalla
quale non può uscire senza rischiare la deportazione.
Queste
due storie, in apparenza, possono sembrare di secondaria importanza.
Chi è preoccupato perché non riesce a trovare un posto di lavoro o
perché non riesce ad arrivare alla fine del mese, sentendo parlare
in tv delle Pussy Riot o di Assange, volgerà i propri pensieri da
un'altra parte quando non cambierà canale. In realtà, queste due
storie sono il simbolo di una lotta, una lotta che esiste da quando
esiste l'uomo: la lotta per i diritti umani. Nello specifico, il
diritto di manifestare liberamente i propri pensieri. Qualcuno
potrebbe pensare che questo tipo di diritti siano stati raggiunti nel
dopoguerra, con la sconfitta dei totalitarismi, e da allora siano al
sicuro. Ma non è così. Ogni giorno i vari gruppi di potere del
mondo, siano essi governi, multinazionali o altro, cercano in ogni
modo di ridurre gli spazi di libertà, per aumentare il loro
controllo e il loro potere. Contro di essi si battono, spesso nella
più completa solitudine, uomini e donne che hanno capito che di
questa lotta varrà il mondo che lasceremo ai nostri figli. Noi
abbiamo il compito di trasmettere loro i diritti conquistati dai
nostri avi così come li abbiamo ereditati. Dipende da noi fare in
modo di lasciargli un mondo dove regnano la libertà, la giustizia e
la pace e non un luogo dove prevaricazione e ingiustizie siano la
regola.
Per
questo è nostro dovere continuare a parlare di questi episodi
simbolo ma soprattutto è nostro dovere sostenere le persone e le
organizzazioni impegnate in questa battaglia, anche quelle che non
possono godere delle trombe dei mass media.
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